Ti è mai capitato di comprare la tua solita confezione di biscotti e notare, improvvisamente, che sembrano finire più velocemente del solito? Non è una tua impressione.
Benvenuto nel magico mondo del Shrinkflation (o Product Shrink), una pratica sempre più comune dove le aziende riducono la quantità di prodotto nella confezione ma, attenzione, il prezzo rimane lo stesso.
Perché succede?
Le aziende non lo fanno per puro divertimento (anche se sembra). La causa principale è che i costi di produzione stanno salendo: materie prime, trasporti, energia… insomma, un disastro. Per evitare di farci pagare di più a vista d’occhio, la soluzione più furba è ridurre un po’ la quantità. Non ti aumentano il prezzo, ma la confezione diventa magicamente più leggera. C’è anche da dire che la competizione tra brand è spietata. Se un’azienda alza i prezzi, rischia che tu vada a comprare dal concorrente, che magari, senza farti accorgere, ha già ridotto la sua confezione da 500g a 450g. Un classico!
Le conseguenze per noi consumatori
Alla fine, anche se il prezzo non aumenta, stiamo comunque pagando di più per ogni singolo grammo o millilitro. E la cosa peggiore è che spesso non ce ne accorgiamo finché non è troppo tardi. Ci ritroviamo a comprare più spesso e, quando ci rendiamo conto che qualcosa non quadra, potremmo sentirci presi in giro.
Questa situazione è particolarmente frustrante per chi ha un budget limitato. Se devi fare i conti al centesimo, scoprire che hai pagato lo stesso per meno prodotto è una brutta sorpresa.
Cosa si può fare?
Beh, la prima cosa che le aziende dovrebbero fare è essere trasparenti. Se riduci la quantità, fallo sapere ai tuoi clienti. Non siamo stupidi, capiremo che i costi stanno salendo per tutti e, con una comunicazione onesta, forse non ci sentiremo troppo ingannati. Poi, perché non pensare a qualche innovazione? Invece di ridurre la quantità e basta, le aziende potrebbero offrire versioni migliorate dei loro prodotti o introdurre formati nuovi che giustifichino il prezzo. Insomma, creatività! E poi… potrebbe essere il momento di pensare a qualche regolamento che obblighi le aziende a essere più chiare su queste variazioni. Nessuno ama le sorprese quando si tratta del portafoglio.
La mia opinione
Lo dico onestamente, non mi piace. Il Shrinkflation è come quando qualcuno ti prende in giro senza dirti apertamente cosa sta facendo. Se c’è un problema con i costi, va bene, ma almeno informami. Trovo che la trasparenza dovrebbe essere alla base di ogni rapporto, anche tra consumatore e azienda. Alla fine, se scopro che mi stai riducendo il prodotto di nascosto, probabilmente non comprerò più da te. Detto ciò, capisco che la situazione economica è complicata per tutti, aziende incluse. Però, la fiducia dei clienti è preziosa e una pratica come questa, se gestita male, rischia di farla perdere per sempre. Quindi sì, il Shrinkflation è qui, e probabilmente ci farà compagnia ancora per un po’. Ma sarebbe bello vedere più onestà e magari anche qualche idea brillante che ci faccia sentire meno “alleggeriti” al momento dell’acquisto.
Uscire dal cinema dopo Joker: Folie à Deux è un po’ come trovarsi in una di quelle serate interminabili che non vedi l’ora finisca, ma sembra non arrivare mai a conclusione.
Il film è privo di un vero obiettivo, trascinandosi senza scopo apparente in un continuo rimuginare su ciò che è stato narrato nel primo capitolo. Un paragone che mi è capitato di leggere su X, che lo mette in relazione al finale di Seinfeld, è calzante: chi ha visto entrambi capirà subito perché.
Al centro della trama c’è il legame tra Joker e Harley Quinn, ma la loro relazione è presentata in modo talmente freddo e sterile che risulta impossibile provare coinvolgimento. Manca l’intensità che ci si aspetterebbe, e tutto si riduce a una serie di scene che sembrano più un esercizio di stile che una narrazione emozionante. In parallelo, la noia è ulteriormente amplificata dagli intermezzi musicali, che, nonostante la performance vocale di Lady Gaga, finiscono per appesantire ulteriormente il ritmo del film, risultando quasi estranei alla storia.
Il primo Joker era riuscito a scuotere il pubblico, pur partendo da ispirazioni dichiarate (come Re per una notte di Scorsese), grazie al modo in cui affrontava questioni sociali rilevanti come i disturbi mentali e la violenza. Questo sequel, invece, sembra non avere nulla di nuovo da dire, ed è qui che risiede la sua più grande debolezza: si appoggia su una trama inconsistente e su una relazione centrale che non riesce a giustificare il peso del film.
Forse il vero problema sta nel fatto che un sequel, specialmente dopo un successo di tale portata, dovrebbe essere costruito con un’idea forte alla base. Joker: Folie à Deux sembra invece un prodotto forzato, incapace di aggiungere valore al suo predecessore. Invece di sviluppare ulteriormente le tematiche del primo film, questo capitolo sembra svuotarle di significato, lasciando anche i suoi protagonisti intrappolati in una narrazione senza scopo.
Se c’è qualcuno a cui imputare il fallimento, è senza dubbio Todd Phillips, che con questo film sembra aver dimenticato ciò che aveva reso Joker un’opera potente e provocatoria.
Oggi è stato rilasciato “Better Man” il tanto atteso trailer del biopic su Robbie Williams, uno dei cantanti più iconici della nostra epoca. Ma c’è un piccolo dettaglio che ha colto tutti di sorpresa: Robbie, anziché comparire in carne e ossa, appare… come una scimmia. Sì, avete capito bene: una scimmia digitale perfettamente realizzata in computer grafica. E mentre guardavo quel primate scimmiesco, con la sua pelliccia fluente e gli occhioni espressivi, mi sono chiesto: ma davvero?
Certo, la CGI ormai può fare miracoli, e di biopic originali ne abbiamo visti parecchi, ma questa trovata ha tutta l’aria di essere qualcosa di più di un semplice effetto speciale. Perché una scimmia? Perché proprio lui? E soprattutto: perché nessuno si scandalizza?
Da fan di Robbie Williams, devo dire che la sua carriera è sempre stata un susseguirsi di colpi di scena. Dai suoi videoclip sopra le righe alle performance live dove niente era mai scontato, Robbie ha costruito il suo successo su una serie di trovate geniali (a volte anche un po’ assurde). Eppure, proprio per questo non mi stupirei se questo trailer fosse solo l’ennesima delle sue bizzarre idee per creare buzz attorno al film.
Immagino già la scena: tutti noi ad arrovellarci sul perché un biopic su una star del pop britannico ci proponga un Robbie-scimmia, quando in realtà il film (quello vero) vedrà un attore umano somigliante al Williams originale interpretarlo. Certo, il primate in CGI potrebbe benissimo essere solo una strizzatina d’occhio al mondo della promozione moderna, dove la viralità è tutto e dove, per far parlare di un progetto, l’importante è sorprendere. Del resto, Robbie sa come far parlare di sé.
Un’altra teoria? Beh, potrebbe essere un modo per ricordarci che Robbie Williams, in fondo, è una bestia da palco. E come tale, chi meglio di una scimmia poteva rappresentare la sua energia scatenata, il suo carisma animalesco e la sua innata capacità di lasciare tutti a bocca aperta?
Tuttavia, confesso che resto un po’ perplesso. Se è solo marketing, missione compiuta: di questo trailer se ne parla già ovunque. Ma se davvero il film fosse così, con Robbie rappresentato sotto forma di un animale antropomorfo? Ecco, questo mi fa sorgere qualche dubbio sul tono che avrà la pellicola. Sarà davvero un omaggio alla sua carriera o solo un esperimento cinematografico fuori dagli schemi?
Oltre a tutto questo, c’è un dettaglio che non posso ignorare. Uno dei suoi album più famosi, “Escapology”, contiene quello che considero uno dei suoi pezzi più affascinanti in stile country: “Me and My Monkey”. Ecco, qui comincio a vedere un possibile legame più profondo con la scelta di Robbie di essere rappresentato come una scimmia nel trailer.
In quella canzone, il protagonista vive una serie di avventure surreali insieme a una scimmia, un compagno di viaggio che lo accompagna in situazioni al limite della follia. Chissà, forse la scelta di apparire come una scimmia nel film è un richiamo a quel pezzo e al suo significato simbolico. In “Me and My Monkey”, la scimmia è una figura ambigua, quasi un alter ego che rappresenta una parte selvaggia, incontrollata, forse un riflesso della stessa irriverenza e imprevedibilità che Robbie ha sempre incarnato. Potrebbe essere che, con questa trovata, Robbie ci stia dicendo che la sua scimmia interiore è sempre stata parte integrante del suo personaggio pubblico?
Forse, il collegamento tra la canzone e il trailer è un modo per sottolineare il fatto che Robbie ha sempre avuto un rapporto complesso con la sua immagine e la sua identità, un continuo oscillare tra il bisogno di fuggire (come suggerisce il titolo “Escapology”) e il desiderio di sorprendere il mondo con la sua unicità. Se così fosse, allora la scimmia CGI non è solo un espediente visivo, ma un messaggio profondo su chi è davvero Robbie Williams.
Per ora, non ci resta che aspettare ulteriori dettagli e, magari, un secondo trailer che ci rassicuri sulla presenza di un Robbie più umano. O, chi lo sa, potremmo scoprire che il nostro cantante preferito ha scelto di raccontarsi in modo davvero… evolutivo. In fondo, da Robbie Williams possiamo aspettarci di tutto. Persino una scimmia.
Oggi voglio parlarvi di una cosa che, sono sicuro, abbiamo notato un po’ tutti scorrendo Facebook: quei post con errori talmente evidenti che ti viene quasi spontaneo fermarti e cliccare, magari solo per correggere chi ha scritto. Parlo di quelle immagini di attori famosi accompagnate dal nome di qualcun altro o di eventi storici con date palesemente sbagliate. Ma… vi siete mai chiesti perché questi errori sembrano così diffusi ultimamente?
Bene, vi svelo un segreto: sono spesso fatti apposta!
Perché questi errori attirano così tanta attenzione?
Siamo onesti, nessuno ama vedere errori, soprattutto quando sono così palesi. Magari ti ritrovi a pensare: “Ma come si può sbagliare il nome di Brad Pitt? E dai!” Oppure: “Nel 1995 è successo QUELLO? Non è possibile!”. Questi post creano una reazione istintiva: vogliamo correggerli o discutere con chi ha fatto l’errore. Ma attenzione: è proprio quello che vogliono!
Questi contenuti sono noti come clickbait, ovvero “esche per clic”. I loro autori non sono interessati a darvi informazioni corrette o utili; vogliono solo che interagiate con il post. Ogni volta che cliccate, commentate o anche solo vi soffermate a leggere, state dando a quel contenuto più visibilità. L’algoritmo di Facebook lo interpreta come un contenuto interessante e lo mostra a più persone.
Ma perché dovrebbero farlo?
In poche parole: per guadagnarci. Più persone cliccano su un post, più traffico va ai siti collegati. E quel traffico si può trasformare in denaro attraverso la pubblicità o altri mezzi di monetizzazione. Alcuni post, addirittura, hanno scopi meno trasparenti, come diffondere disinformazione o creare confusione.
In pratica, quando interagiamo con questi post pieni di errori, aiutiamo chi li ha creati a guadagnare (o, peggio, a diffondere fake news). E noi, cosa otteniamo in cambio? Nulla, se non un po’ di frustrazione.
Come evitare di cadere nella trappola del clickbait
Ecco qualche suggerimento per evitare di diventare vittime di questi stratagemmi:
Non correggere nei commenti: Lo so, è difficile resistere, ma commentare per correggere un errore contribuisce solo ad aumentare la visibilità del post. Più persone vedranno quel contenuto, e più sarà incoraggiato chi l’ha creato.
Non cliccare: Anche solo cliccare per vedere di cosa si tratta aumenta il traffico verso il post e verso eventuali siti collegati. È il modo principale con cui guadagnano.
Segnala i post: Se noti contenuti palesemente fuorvianti o dannosi, puoi sempre segnalarli a Facebook. In questo modo aiuti a ridurre la diffusione di disinformazione.
Sii critico: Non tutto quello che trovi sui social è affidabile. Prima di condividere o interagire, pensa a cosa potrebbe esserci dietro quel post.
Facciamoci furbi!
Il miglior modo per evitare di essere intrappolati da questi contenuti è ignorarli. Ogni volta che resistiamo alla tentazione di cliccare, commentare o correggere, togliamo potere a chi sfrutta l’errore per guadagnare. E se mai dovessi trovarti a pensare: “E se fosse davvero un errore in buona fede?”, ricorda che ci sono modi migliori per informarsi o discutere senza cadere nel tranello del clickbait.
Alla fine, sta a noi rendere i social un posto più piacevole. Facciamo in modo che non siano gli errori a dominare le nostre bacheche, ma i contenuti di qualità che ci arricchiscono davvero.
Se anche tu hai notato questa tendenza, spargi la voce al fine di stare sempre un passo avanti e non dare soddisfazione a chi sfrutta questi trucchetti!
Ho appena scoperto un progetto che potrebbe rivoluzionare il mio modo di vivere e lavorare: il “Tiny Home Project” nato dalla collaborazione tra Ikea ed Escape Homes.
Si tratta di una casetta di appena 17 metri quadri, perfetta per chi, come me, sogna uno spazio creativo tutto suo senza rinunciare alla sostenibilità.
Immaginate una casa con una camera da letto, soggiorno, cucina e bagno, tutto per 47.550 dollari (circa 40.300 euro). Ma se scegliete la versione con i mobili Ikea, il prezzo sale a 63.350 dollari (poco più di 53.700 euro). E ne vale ogni centesimo!
Il “Tiny Home Project” punta tutto sulla sostenibilità, cercando di soddisfare le esigenze attuali senza compromettere quelle delle generazioni future. Sul sito del progetto, infatti, si parla di inclusione e innovazione come valori chiave.
I progettisti sono convinti che, dopo la pandemia, il minimalismo e la vita in piccoli spazi diventeranno sempre più popolari. E io sono d’accordo! Questa minuscola casa su ruote potrebbe essere la soluzione perfetta per chi vuole allontanarsi dalla città e trovare il proprio rifugio sicuro.
Gli arredi Ikea sono un plus non da poco: dalla serie Kungsbacka in cucina al tavolo pieghevole Norden in soggiorno, ogni dettaglio è pensato per massimizzare lo spazio. Ci sono tanti contenitori, mensole e perfino un pratico contenitore sotto il letto. Insomma, è piccola ma incredibilmente funzionale!
L’esterno è rivestito in legno bruciato di ispirazione giapponese, noto come “Shou Sugi Ban”, mentre l’interno è dipinto di bianco per dare un senso di spaziosità. E la cosa migliore? Questa casa su ruote può essere trainata ovunque. Già mi vedo a esplorare nuovi orizzonti con il mio piccolo studio creativo mobile.
Sto seriamente pensando di acquistarne una. Potrebbe diventare il mio angolo di paradiso dove dare sfogo alla creatività. Che ne pensate? Anche voi sognate un rifugio sostenibile e funzionale come questo?
Oggi voglio raccontarvi della mia esperienza con un’app fantastica che ho scoperto di recente: AlDente.
Se come me amate i vostri Mac e volete che la loro batteria duri il più a lungo possibile, allora questa app fa proprio al caso vostro.
Perché Ho Deciso di Limitare la Ricarica della Batteria? Iniziamo dal principio. Sapevate che le batterie agli ioni di litio, quelle che troviamo nei MacBook, non sono proprio felici di essere sempre cariche al 100%? Io non lo sapevo! Ho scoperto che mantenerle sempre al massimo le stressa e ne riduce la durata. E se come me usate il vostro Mac mentre è in carica, il calore generato peggiora ulteriormente la situazione. Quindi, per far durare di più la batteria, è meglio non caricarla sempre al massimo.
Come Mi Ha Aiutato AlDente? Ed ecco che entra in gioco **AlDente**. Questa app è stata una vera scoperta! È leggera e super facile da usare. Ecco come mi ha aiutato:
Impostazione del limite di carica. Con AlDente, posso scegliere fino a quale percentuale voglio che la batteria del mio Mac si ricarichi. Ho impostato il limite all’80% e mi sono accorto che questo aiuta davvero a mantenere la batteria in salute.
Interfaccia facile e intuitiva. Non sono un esperto di tecnologia, ma con AlDente non serve esserlo. L’interfaccia è davvero semplice e configurare l’app è stato un gioco da ragazzi.
Integrazione perfetta con macOS. AlDente funziona alla grande con macOS, senza intoppi o complicazioni. È come se fosse una funzione integrata del mio Mac.
Aggiornamenti continui. Gli sviluppatori di AlDente rilasciano aggiornamenti regolarmente per migliorare l’app e risolvere eventuali problemi. Questo mi dà molta fiducia nell’uso dell’app.
I Vantaggi che Ho Notato Da quando uso AlDente, ho notato parecchi vantaggi:
Batteria più duratura. Limitando la ricarica, la batteria del mio Mac mantiene la sua capacità originale per più tempo.
Prestazioni migliori. La batteria in salute significa che il mio MacBook funziona al meglio, senza cali improvvisi di autonomia.
Risparmio. Allungando la vita della batteria, risparmio sui costi di sostituzione e manutenzione.
Insomma, AlDente è diventata un’alleata indispensabile per me. Se volete prendervi cura della batteria del vostro Mac, vi consiglio vivamente di provare questa app. Limitare la ricarica con AlDente ha fatto una grande differenza per me e sono sicuro che farà lo stesso per voi. Scaricatela e vedrete come può migliorare la vita del vostro Mac!
Sono un grande appassionato di due ruote fin da quando ne ho memoria, e oggi voglio raccontarvi di un desiderio che mi accompagna da un po’: tornare a guidare uno scooter dopo molti anni lontano dal mondo delle due ruote.
Sì, avete letto bene: uno scooter, e non una moto sportiva, che è stata la mia fedele compagna di avventure fin da ragazzo.
Ma perché questo cambiamento?
Le motivazioni sono diverse e, in parte, legate alla mia età. Ho recentemente compiuto 45 anni, e non mi sento più del tutto a mio agio su una moto sportiva, con la sua posizione di guida meno confortevole e una maneggevolezza che richiede sempre molta attenzione. Inoltre, il traffico cittadino è sempre più caotico e trovare parcheggio una vera impresa quotidiana.
Lo scooter mi sembra un’opzione decisamente più pratica, maneggevole e adatta alle mie necessità quotidiane.
Inoltre, c’è la mia crescente curiosità verso i veicoli elettrici. Da tempo ho sviluppato una sensibilità per l’ambiente e l’efficienza energetica, e l’idea di uno scooter silenzioso, pulito e conveniente mi affascina molto. Ho scoperto che esistono modelli elettrici da 11 kW che, in base alla legge italiana, possono circolare anche su tangenziali e autostrade, rendendoli versatili per gli spostamenti sia in città che su tragitti più lunghi.
Navigando sul web, ho trovato due modelli che mi hanno colpito: l’Hurba Street Raptor 300S e il Jonway MJS-E Sport.
Vediamoli insieme.
Hurba Street Raptor 300S
L’Hurba Street Raptor 300S combina uno stile moderno con linee eleganti e aerodinamiche, completato da un faro a LED. È alimentato da un motore brushless da 11 kW, con tre modalità di guida: Eco, Normal e Sport. La modalità Eco ottimizza automaticamente il consumo della batteria, offrendo un’autonomia fino a 165 km con una sola ricarica. Il tempo di ricarica è di circa 6 ore tramite una normale presa domestica.
Per quanto riguarda la sicurezza, lo scooter è dotato di freni ABS anteriori e posteriori, oltre a un cruscotto digitale con display LCD. Include anche un bauletto spazioso e un cavalletto laterale e centrale. La velocità massima è di 110 km/h, con un’opzione che arriva a 130 km/h nella versione Sport. Il prezzo? 7.450 euro.
Jonway MJS-E Sport
Jonway è un marchio cinese noto per i suoi scooter elettrici e ibridi. Il modello MJS-E Sport è un maxi scooter sportivo con un motore da 11 kW che raggiunge una potenza massima di 15 kW. La sua batteria integrata da 72V 60Ah si ricarica in sole 4 ore e garantisce un’autonomia di circa 140 km.
Questo scooter offre funzioni avanzate come il cruise control, il sistema keyless, un display LCD, e monta ruote da 14 pollici. Il design è pensato per gli amanti delle prestazioni e del comfort su strada.
Quale scegliere?
Entrambi i modelli mi sembrano ottime scelte, ma non ho ancora deciso quale acquistare.
Mi attrae il design italiano dell’Hurba Street Raptor 300S, ma anche la velocità del Jonway MJS-E Sport.
Mi piace l’autonomia dell’Hurba, ma trovo interessante il prezzo competitivo del Jonway.
Apprezzo il sistema ABS dell’Hurba, ma anche le modalità sportive del Jonway mi intrigano.
Voi cosa ne pensate? Avete esperienze o suggerimenti da condividere? Scrivetemi nei commenti!
Essendo io un abituale utilizzatore di monopattini elettrici voglio oggi condividere con voi alcune considerazioni in merito all’uso di essi nelle strade pubbliche.
Come abituale utilizzatore del monopattino, posso assicurarvi che non c’è niente di meglio che sentirsi liberi e liberati dalle preoccupazioni del traffico e dei parcheggi.
So che molti di voi come me sono entusiasti di utilizzare il monopattino elettrico per spostarsi in città. È un modo divertente e pratico per muoversi, ma è importante farlo sempre in modo sicuro e legale. Come abituale utilizzatore del monopattino, mi piace condividere alcuni consigli per un utilizzo corretto su strada.
Innanzitutto, credo sia fondamentale conoscere e rispettare le leggi locali riguardo l’uso dei monopattini. Ogni comune ha le proprie regole e restrizioni, quindi è importante informarsi prima di utilizzare il proprio monopattino. In generale, si consiglia di utilizzare i monopattini su piste ciclabili o su strade a bassa velocità, evitando le strade principali e le autostrade ma soprattutto evitare di viaggiare negli spazi dedicati ai marciapiedi i quali sono ad uso esclusivo dei pedoni. Il monopattino infatti è considerato al pari delle biciclette e pertanto va utilizzato mantenendosi ai lati della propria carreggiata.
E non dimenticate mai di indossare il casco, la sicurezza deve essere sempre la prima preoccupazione!
Ma oltre a seguire queste regole, è importante anche sapere come comportarsi di fronte all’uso non corretto dei monopattini da parte di altri utilizzatori. Purtroppo, ci sono sempre alcune persone che utilizzano i monopattini in modo pericoloso o irresponsabile. In questi casi, è importante mantenere sempre una distanza di sicurezza e seguire il codice della strada. Se notate comportamenti pericolosi, segnalateli alle autorità competenti.
In generale, l’utilizzo del monopattino può essere un’esperienza divertente ed emozionante, ma è importante sempre farlo in modo sicuro e rispettando le regole. Con questi consigli, potrete godervi al massimo l’esperienza del monopattino senza preoccupazioni.
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Il primo iPod di Apple è stato un vero e proprio game changer per il mondo della tecnologia e della musica. Con la sua capacità di immagazzinare fino a 5 GB di canzoni, questo piccolo dispositivo ci ha permesso di portare con noi la nostra intera libreria musicale ovunque andassimo.
Ricordo ancora il giorno in cui ho acquistato il mio primo iPod. Era il 2002 e avevo da poco iniziato la mia professione. Era un regalo per me stesso e non potevo credere alla quantità di canzoni che potevo tenere con me in un solo dispositivo. Era come se avessi una piccola jukebox sempre con me.
L’iPod ha anche segnato l’inizio di una nuova era per la musica. Prima dell’iPod, la maggior parte delle persone ascoltava la musica su CD o sui propri lettori MP3. Ma l’iPod ha reso la musica digitale accessibile a tutti, permettendoci di acquistare e scaricare canzoni direttamente dal nostro dispositivo.
Il giorno in cui Steve Jobs presentò il primo iPod al mondo è stato un giorno pieno di emozioni e nostalgia per me. Era il 23 ottobre 2001, durante un evento stampa tenutosi presso il California Theatre a San José, in California. L’annuncio è stato fatto insieme alla presentazione del nuovo sistema operativo Mac OS X 10.1 e di una nuova versione del software iTunes. Io ero collegato dall’Italia in diretta via satellite (le dirette streaming all’epoca erano ancora distanti dalla realtà!), ad assistere alla presentazione di questo dispositivo che avrebbe cambiato il modo in cui ascoltiamo la musica per sempre.
Ricordo ancora l’entusiasmo nella voce di Steve mentre spiegava le caratteristiche dell’iPod, la sua capacità di immagazzinare fino a 1000 canzoni e la sua possibilità di essere sincronizzato con un computer tramite una porta FireWire. Era come se avesse creato qualcosa di magico, qualcosa che avrebbe cambiato il modo in cui le persone vivevano la loro vita quotidiana.
Ma ciò che mi ha colpito di più è stato il modo in cui Jobs ha presentato l’iPod come non solo un dispositivo tecnologico, ma anche come un’icona di stile. Ha sottolineato come il design elegante e minimalista dell’iPod lo avrebbe reso un accessorio must-have per chiunque fosse alla moda. E aveva ragione, perché ancora oggi, dopo anni, vedo persone con il loro vecchio iPod in mano e non posso fare a meno di sentire una punta di nostalgia per quegli anni in cui tutto era così nuovo ed emozionante.
Possiamo affermare che il primo iPod di Apple ha cambiato il modo in cui ascoltiamo e acquistiamo musica e ha segnato l’inizio di una nuova era per la tecnologia. Ancora oggi, dopo anni, mi emoziona pensare a tutte le canzoni che ho ascoltato attraverso quel piccolo dispositivo che ha cambiato il mio modo di vivere la musica.
In definitiva, quel giorno è stato un momento storico nella tecnologia e nella cultura pop. L’iPod è stato il primo passo verso un mondo in cui la musica digitale è diventata la norma e Steve Jobs è stato il visionario che ha reso tutto ciò possibile. Quel giorno rimarrà sempre impresso nella mia memoria come un momento emozionante e pieno di nostalgia.
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Il 19 marzo 2019 Elon Musk ha presentato Cybertruck, un pick-up dal design eccentrico, completamente elettrico, ultra resistente e dalle prestazioni di un’auto sportiva. Durante la dimostrazione della sue potenzialità però, non tutto è andato come avrebbe dovuto…
On March 19, 2019 Elon Musk introduced Cybertruck, an eccentric design, all-electric, ultra-durable and sports car performance pickup. During the demonstration of its potential, not everything went as it should …
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