C’è un momento, nella vita di ogni lavoratore autonomo, in cui ti rendi conto che l’ecologia non è una missione… è una sceneggiata.
Tratto da una storia vera.
Succede quando un’azienda si presenta tutta fiera: “Noi siamo green 🌱”. E tu, ingenuo, quasi ti commuovi. Pensi a pannelli solari, mobilità sostenibile, riduzione delle emissioni. E invece no: “green” significa flotta aziendale di auto elettriche fiammanti, acquistate in blocco e detratte dalle tasse con la delicatezza di una scavatrice.
Peccato che poi, alla prima trasferta di 400 km, la sostenibilità si sbricioli più veloce di una batteria al 10%.
“Eh… la nostra elettrica non ce la fa con l’autonomia… però potremmo usare la tua macchina?”
E magari pure caricare due dipendenti aziendali, così facciamo “car pooling” (ma solo a senso unico).
Tradotto: loro sono green, tu paghi il gasolio.
Loro vantano emissioni zero, tu fai il pieno (e non ti rimborsa nessuno).
Loro ricevono applausi e incentivi, tu ti becchi la benzina, il parcheggio e magari pure il “totale” sullo scontrino del pranzo.
Ma vuoi mettere la soddisfazione? Ti stanno facendo partecipare alla loro transizione ecologica, così puoi raccontarlo ai nipoti: “Io c’ero, dietro al volante, mentre l’azienda salvava il pianeta… con la mia auto diesel.”
E niente. L’ipocrisia green è il nuovo nero. Fa moda, fa curriculum e soprattutto… fa risparmiare un sacco. Agli altri.
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