L’Ai tra timori e opportunità

L’Ai tra timori e opportunità

Come l’Intelligenza artificiale sta cambiando il mondo del lavoro e le professioni creative

Questa mattina, mentre ascoltavo la radio quasi distrattamente, una notizia ha attirato la mia attenzione: la redazione di un noto giornale annunciava uno sciopero indetto proprio contro l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel loro settore. Un messaggio insolito da sentire in diretta, ma estremamente significativo del tempo che stiamo vivendo.
Quell’annuncio mi ha fatto riflettere. Non tanto sul giornalismo in sé, quanto su un tema più grande: l’AI non sta trasformando solo il lavoro dei giornalisti, ma ogni singola professione, nessuna esclusa. Non c’è settore che non ne sia toccato, influenzato, o per qualcuno “minacciato”.

Ed è qui che la riflessione si amplia.
Che si tratti di comunicazione, industria, commercio, trasporti, sanità o creatività, l’intelligenza artificiale sta entrando gradualmente, ma inarrestabilmente, in ogni angolo del mondo del lavoro.
Molti percepiscono questo cambiamento come una sorta di “gigante” contro cui è impossibile competere. Per altri è un alleato, per altri ancora, entrambe le cose.

La verità è che l’AI non è semplicemente un nuovo strumento: è un cambio di paradigma.
Esattamente come l’arrivo dell’elettricità, di internet o degli smartphone, cambia i processi, le tempistiche, le competenze richieste. Cambia ciò che significa lavorare.

Quando una tecnologia accelera, di solito accelera anche la paura: paura di essere sostituiti, di perdere rilevanza, di non riuscire a “stare al passo”.
Ma al tempo stesso, ogni trasformazione porta con sé possibilità che prima non esistevano:

  • automatizzare ciò che prima richiedeva ore

  • ottenere strumenti che ampliano la creatività

  • migliorare la qualità del lavoro

  • aprire strade completamente nuove, impensabili fino a pochi anni fa

L’AI non è (o non dovrebbe essere) il nemico, dovrebbe essere vista come un amplificatore.
Ma come tutti gli amplificatori, può creare armonia… oppure rumore.
Dipende da come la usiamo, da come decidiamo di integrarci con essa.

Qui entra in gioco la mia esperienza personale.
Lavorando in ambiti creativi quali fotografia, videomaking, grafica, web design, vedo ogni giorno quanto l’intelligenza artificiale stia cambiando il nostro modo di creare.
E se da un lato gli strumenti di editing sempre più automatici, ti consentono di generare immagini e video e consentono di sfruttare algoritmi che ottimizzano siti web, testi e interfacce, dall’altro aprono scenari a nuove libertà espressive, in particolare consentono (e non è poco!) possibilità prima irrealizzabili per motivi di tempo o budget oltre che processi creativi più fluidi e più veloci.

Il punto, però, è questo:
la creatività non nasce dagli strumenti, ma dall’occhio, dalla sensibilità, dall’esperienza di chi li usa.
Quante volte ho visto gente acquistare l’ultimo modello di fotocamera con l’illusione di migliorare le proprie capacità creative? Quante volte ho visto utenti rinnovare il proprio smartphone con l’illusione di realizzare fotografie e video stupefacenti? E quante volte i fatti hanno demolito tali speranze?

L’AI può creare un’immagine, ma non può sapere perché la stai creando.
Può montare un video, ma non può sentire l’emozione che vuoi trasmettere.
Può costruire una struttura web, ma non può intuire il gusto estetico, lo stile, l’identità profonda del tuo cliente.
Nel mondo creativo, l’AI non elimina il professionista, lo costringe (ed è questa la vera sfida) a ridefinire il proprio valore.
Diventa meno “operatore”, più “autore”, meno “esecutore”, più “direttore d’orchestra”.

Se l’intelligenza artificiale è “più grande di noi”, allora la domanda non è come fermarla, perché non possiamo, ma come crescere quanto basta per affiancarla, guidarla, integrarla. Ogni rivoluzione porta con sé disorientamento ma porta anche possibilità straordinarie per chi decide di non farsi spaventare, ma di osservare, comprendere, adattarsi.

Forse l’unica vera minaccia non è l’AI, ma restare immobili mentre tutto intorno si evolve.

Quell’annuncio alla radio, nato come protesta, è stato in realtà un invito alla riflessione.
Non lo vedo come una battaglia tra esseri umani e algoritmi ma un passaggio storico in cui ogni professione, dal giornalismo alla creatività, deve riscoprire il proprio senso, il proprio valore e il proprio ruolo.

L’intelligenza artificiale non ci chiede di essere meno umani.
Ci chiede, al contrario, di esserlo molto di più.

Il tempo dei nastri

Il tempo dei nastri

C’è un suono che appartiene a un’altra epoca, ed è quello del nastro che gira dentro una videocassetta Mini-DV. Un fruscio regolare, quasi ipnotico, che oggi sembra un reperto d’archeologia audiovisiva.

Negli ultimi giorni mi è capitato di rimettere mano a queste piccole cassette per digitalizzare vecchi filmati di un cliente. E mi sono trovato di fronte a una verità semplice ma innegabile: il tempo, sui nastri, si vede e si sente.
L’umidità, la polvere, le registrazioni sovrapposte, i drop di segnale: ogni difetto è una ruga del tempo impressa sulla memoria magnetica. Alcune cassette si rifiutano di partire, altre si bloccano a metà come a dire “lasciami riposare, ho già dato”.
Eppure, quando il video finalmente parte e l’immagine appare, anche se tremolante e impastata, succede qualcosa. Il passato torna a vivere. Ci sono persone che non ci sono più, luoghi che non esistono più, sorrisi che sembrano voler uscire dallo schermo.
E capisci che non è solo un lavoro tecnico, ma quasi un atto di cura.

In un’epoca in cui i ricordi si salvano in cloud e si cancellano con un click, quelle cassette ci ricordano che la memoria fisica ha un suo valore, fragile ma autentico. È come se il tempo stesso fosse inciso nel nastro, e ogni piccola imperfezione raccontasse la sua storia.

Curiosamente, ho notato che i nastri Video8, pur essendo più vecchi, resistono meglio dei Mini-DV. Forse perché erano analogici, meno “precisi” ma più indulgenti. Un po’ come le persone: chi non pretende la perfezione, alla fine, dura di più.Alla fine di ogni acquisizione, quando sul monitor compare il file finalmente salvato, penso sempre la stessa cosa: non stiamo solo recuperando un video, stiamo traducendo il passato nel linguaggio del presente.
E chissà, magari un giorno qualcun altro farà lo stesso con i nostri dischi rigidi, cercando di capire com’era “il tempo dei file”.

Per ora, mi accontento di questo piccolo viaggio tra i nastri. Un promemoria magnetico che il tempo non si può fermare — ma si può, ogni tanto, riavvolgere.

La sostenibilità degli altri

La sostenibilità degli altri

C’è un momento, nella vita di ogni lavoratore autonomo, in cui ti rendi conto che l’ecologia non è una missione… è una sceneggiata.

Tratto da una storia vera.

Succede quando un’azienda si presenta tutta fiera: “Noi siamo green 🌱”. E tu, ingenuo, quasi ti commuovi. Pensi a pannelli solari, mobilità sostenibile, riduzione delle emissioni. E invece no: “green” significa flotta aziendale di auto elettriche fiammanti, acquistate in blocco e detratte dalle tasse con la delicatezza di una scavatrice.

Peccato che poi, alla prima trasferta di 400 km, la sostenibilità si sbricioli più veloce di una batteria al 10%.
“Eh… la nostra elettrica non ce la fa con l’autonomia… però potremmo usare la tua macchina?”
E magari pure caricare due dipendenti aziendali, così facciamo “car pooling” (ma solo a senso unico).

Tradotto: loro sono green, tu paghi il gasolio.
Loro vantano emissioni zero, tu fai il pieno (e non ti rimborsa nessuno).
Loro ricevono applausi e incentivi, tu ti becchi la benzina, il parcheggio e magari pure il “totale” sullo scontrino del pranzo.

Ma vuoi mettere la soddisfazione? Ti stanno facendo partecipare alla loro transizione ecologica, così puoi raccontarlo ai nipoti: “Io c’ero, dietro al volante, mentre l’azienda salvava il pianeta… con la mia auto diesel.”

E niente. L’ipocrisia green è il nuovo nero. Fa moda, fa curriculum e soprattutto… fa risparmiare un sacco. Agli altri.

Il trauma del rientro

Il trauma del rientro

La fine del mese di agosto è quel momento dell’anno in cui l’italiano medio mette via ciabatte, infradito e ombrellone, per rispolverare giacca, PC e – inevitabilmente – il tasto snooze della sveglia. Perché diciamolo: il vero trauma non è il rientro in ufficio, ma la sveglia del lunedì mattina. Dopo un mese passato a chiedersi se la granita fosse meglio al limone o alla mandorla, tornare a decidere tra Excel, email e riunioni su Teams è una botta non da poco.

Eppure, la sopravvivenza è possibile. Ecco qualche consiglio pratico per arrivare a sera senza perdere (troppa) sanità mentale:

Colazione rinforzata

La colazione da vacanza, leggera e spensierata, va bene solo davanti al mare. Il rientro lavorativo richiede rinforzi seri. Qui si parla di cappuccio formato gigante, brioche farcita senza sensi di colpa e – per i più temerari – anche un secondo caffè prima ancora di uscire di casa. Non è gola, è carburante di sopravvivenza. Perché affrontare la prima inbox da 200 email arretrate a stomaco vuoto è un po’ come scalare l’Everest in ciabatte.

L’attacco telefonico

Se i call center in estate si fanno più discreti, a settembre a bombardarti sono colleghi e clienti reduci da 3 settimane di spiaggia. Tornano in ufficio abbronzati, riposati e pieni di idee da condividere… con te, che sei rimasto a casa a fare il baby-sitter ai figli, trasformando il soggiorno in un parco giochi e guardando le vacanze degli altri solo con il binocolo (letteralmente, dai social).

Le soluzioni:
Filtrare con classe: non è obbligatorio rispondere subito a ogni messaggio su WhatsApp. Ci sono ancora i puntini di sospensione, usateli a vostro favore.

Risposta standard: un elegante “ti rispondo più tardi” salva la vita e concede tempo per respirare.

Ironia difensiva: ricordate loro che, mentre loro sorseggiavano spritz in spiaggia, voi eravate già operativi in modalità “Papà/Mamma Daycare”. Di solito li frena per almeno un paio d’ore.

Micro-pause tattiche

La mente non è una macchina. Ogni tanto va ingannata con piccole pause strategiche. Alzarsi dalla sedia, bere acqua, sgranchirsi le gambe, chiacchierare due minuti con un collega di calcio o meteo. Non importa cosa, l’essenziale è creare micro-fughe dalla scrivania. Anche se avete già bevuto tre caffè, il quarto non sarà giudicato: è quasi settembre, vale tutto.
Il segreto è spezzettare la giornata, così da non viverla come una maratona infinita ma come una serie di piccoli sprint. Alla fine vi sembrerà di aver conquistato qualcosa ogni ora (anche solo un biscotto rubato al distributore).

Pensiero felice di fine giornata

Mai tornare al lavoro senza un “premio serale” in programma. Che sia una pizza, una serie tv, una corsa al parco o semplicemente mezz’ora di silenzio sul divano mentre i figli dormono, poco importa. Sapere che vi aspetta qualcosa di piacevole è il miglior carburante psicologico.
Non deve essere nulla di epico: basta l’idea che dopo il lavoro non c’è solo “lavatrice–compiti–cena–nanna”, ma un piccolo spazio che vi appartiene. È il pensiero felice che vi fa sopravvivere anche alla riunione delle 17:30 intitolata “aggiornamento sullo stato dell’aggiornamento”.

Insomma, la ripartenza di settembre non sarà mai un tappeto rosso, ma con caffè abbondante, un pizzico di ironia e un piano di fuga mentale, il lunedì mattina diventa un po’ meno traumatico. In fondo ce l’abbiamo fatta gli anni scorsi, e – forse – ce la faremo anche stavolta.

Le 10 regole sacre del Business.

Le 10 regole sacre del Business.

Le 10 Regole Sacre della Disciplina (che ogni azienda dovrebbe incidere sul marmo).

In un momento mistico di brainstorming aziendale (leggasi: gioco di gruppo con colleghi e caffè a litri), il nostro team è stato chiamato a un compito divino: stilare le Dieci Regole Sacre per il Successo nel Business in Italia.
Non semplici consigli. Non le solite slide motivazionali. Ma comandamenti, scolpiti nel granito della disciplina e illuminati dalla luce della produttività.

Il nostro gruppo, chiamato non a caso “Disciplina”, ha assunto il ruolo di divinità antiche, ma con il badge aziendale al collo. Abbiamo guardato negli occhi il caos dell’improvvisazione, la tentazione della procrastinazione e l’abisso delle riunioni infinite. E ne siamo usciti con una tavola sacra.

Con un pizzico di ironia ma tanta verità, ecco i dieci comandamenti che ogni professionista dovrebbe conoscere, seguire, e – se serve – tatuarsi sul desktop.
Perché il successo non arriva per caso. Si costruisce, giorno dopo giorno, con metodo, rigore… e magari anche un po’ di caffè.

I 10 Comandamenti della Divina Disciplina

1. Non avrai altro obiettivo all’infuori del risultato.

Ogni azione, ogni parola, ogni scelta deve servire il sacro scopo: far crescere il progetto, l’impresa, il team. Il resto è rumore.

2. Onora il tempo, tuo e altrui.

Il tempo è oro ma anche dignità. Sii puntuale, preparato, essenziale. E chi arriva tardi… porti almeno il caffè.

3. Ricorda il metodo e santificalo.

L’ispirazione è una scintilla, ma è il metodo che forgia l’acciaio. Pianifica, struttura, verifica. E poi ripeti.

4. Non pronunciare invano il verbo “procrastinare”.

Ogni rinvio è un’offesa agli Dei della Disciplina. Agisci oggi, non domani. E se proprio devi rimandare… fallo con una scadenza chiara.

5. Ascolta con attenzione, parla con misura, agisci con fermezza.

Le parole vuote sono vento. Ascolta per capire, non per rispondere. Poi decidi. Poi esegui.

6. Non sacrificherai la qualità sull’altare dell’urgenza.

La fretta è la nemica della gloria. Consegna il meglio, non il più veloce. Meglio tardi che mediocre.

7. Onora le tue promesse, anche quando nessuno guarda.

L’integrità è la vera valuta del successo. Se dici che lo fai, lo fai. Se sbagli, correggi. Ma mai barare.

8. Sii umile nel successo, fermo nella difficoltà.

Chi si esalta cade, chi resiste vince. La disciplina è anche carattere. E il carattere, si costruisce.

9. Non lamentarti. Trova soluzioni.

Il lamento è il canto dei perdenti. I vincenti parlano poco e risolvono molto. Lamentarsi non sposta le montagne. Agire sì.

10. Ama il tuo lavoro come te stesso.

Non serve essere perfetti, ma serve crederci. La passione è il carburante. La disciplina è il motore.

Ora che le Regole Sacre sono state rivelate, il cammino è tracciato. Certo, non sarà sempre facile seguirlo: la tentazione del “poi lo faccio”, la chiamata del “tanto va bene anche così”, o l’oscuro fascino del multitasking disordinato sono sempre in agguato.

Ma ricorda: la disciplina non è una prigione, è un trampolino. È quella cosa che all’inizio sembra dura, ma poi ti fa volare.

E tu? Qual è la tua regola sacra nel lavoro di tutti i giorni?
Scrivila nei commenti, condividila con il tuo team, oppure appendila in ufficio accanto alla macchinetta del caffè. Perché, in fondo, anche i comandamenti hanno bisogno di una buona pausa.

Assistenza DJI e lode

Assistenza DJI e lode

Tempo fa, mentre ero intento a pilotare il mio fidato DJI Mavic Pro 2, ho avuto un piccolo incidente. Niente di grave, per fortuna, ma un sensore posteriore del drone si è danneggiato. Il drone ha continuato a funzionare perfettamente e ho sempre rimandato la riparazione.

Così recentemente mi sono preso del tempo per inviare il drone all’assistenza DJI. Non era la mia prima volta con loro, e posso dire che avevo già avuto un’ottima esperienza in passato: servizio veloce, impeccabile e costi generali al di sotto delle mie aspettative. Questa volta, però, è stata davvero speciale.

Dopo aver accettato un preventivo di circa 100 euro, mi hanno offerto un buono sconto del 50%! Con una spesa di 50 euro, spedizioni comprese, ho accettato subito.

Ma la vera sorpresa sarebbe arrivata solo qualche giorno dopo, quando una gentilissima signorina dell’assistenza, chiamandomi dalla Germania, con tono preoccupato mi informava che, a causa di problemi tecnici interni, non sarebbero stati in grado di riparare il mio drone. La poveretta pareva molto dispiaciuta e con tono rammaricato mi proponeva l’impensabile: per scusarsi del disservizio DJI avrebbe sostituito la riparazione del Mavic Pro 2 con la consegna a domicilio di un suo gemello nuovo di zecca!

E così, in meno di una settimana, ecco il corriere con un DJI Mavic Pro 2 nuovo, sigillato nella sua confezione originale e pronto per volare.
Non potevo crederci! DJI ha dimostrato ancora una volta di essere una delle migliori assistenze con cui abbia mai avuto a che fare.

Un’esperienza incredibile che non potevo non condividere con voi!