Le chiamano Bombe d’Acqua

Le chiamano Bombe d’Acqua

In questi ultimi giorni, dove vivo, ovvero Bergamo, la sua provincia ed in generale tutto il nord Italia, sono state nuovamente messe in ginocchio da piogge torrenziali, fiumi tracimati, strade allagate e tralicci disarcionati. Situazioni che ormai, tristemente, non ci sorprendono più. Eppure, quello che mi infastidisce quasi quanto l’acqua che invade i terreni è l’uso costante, quasi ossessivo, di un termine che, a mio avviso, sminuisce la gravità della situazione: “bomba d’acqua”.

Ogni volta che si verificano forti piogge, i giornali e i telegiornali ci bombardano con questa espressione, usata per dipingere un quadro apocalittico, quasi come se la natura fosse impazzita e lanciasse esplosivi d’acqua dal cielo. Ma la verità è un’altra. Questi eventi non sono “bombe” isolate e imprevedibili. Sono la conseguenza di decenni di incuria, di inazione e, soprattutto, di cambiamento climatico. Parlare di “bombe d’acqua” serve solo a creare titoli sensazionalistici e a nascondere sotto il tappeto la vera emergenza.

Le piogge torrenziali, le esondazioni dei fiumi e i danni che subiamo non sono più un caso eccezionale. Sono la nuova normalità, e lo saranno sempre di più se non ci decidiamo a fare qualcosa di concreto. Eppure, invece di affrontare il problema alla radice, ci perdiamo dietro termini che evocano più paura che consapevolezza. Invece di interrogarci su come prevenire queste catastrofi, continuiamo a subire passivamente, riducendo il tutto a un altro capitolo nel grande spettacolo del maltempo.

Ci siamo mai chiesti perché i media continuano a usare termini come “bomba d’acqua”? Forse perché è più facile vendere il disastro come un evento catastrofico e improvviso, piuttosto che riconoscere che è il risultato del fallimento delle politiche ambientali. Forse perché è più semplice parlare di eventi straordinari che chiedersi come mai questi eventi stanno diventando sempre più frequenti. Ma mentre ci fermiamo a guardare la pioggia attraverso la finestra e a commentare l’ennesima “bomba d’acqua”, ci stiamo dimenticando di chiedere responsabilità a chi dovrebbe agire.

Il cambiamento climatico non è più una minaccia futura. È già qui, e sta devastando i nostri territori. I fiumi che esondano e i terreni che franano sono la prova evidente che non possiamo più permetterci di ignorare la realtà. Eppure, continuiamo a usare parole che banalizzano il problema, parole che ci fanno sembrare vittime di una natura impazzita, quando invece siamo complici del disastro in corso.

E non è solo il cambiamento climatico a giocare un ruolo centrale in questa devastazione. L’edilizia aggressiva, che ha rubato spazio ai corsi fluviali, è un altro fattore determinante. Ogni metro quadrato sottratto ai fiumi, ogni argine cementificato, ogni nuovo insediamento costruito in zone vulnerabili contribuisce a peggiorare gli effetti delle piogge torrenziali. Abbiamo sacrificato preziosi spazi naturali, essenziali per assorbire l’acqua e prevenire disastri, in nome del progresso e dello sviluppo urbano. E ora ne paghiamo il prezzo.

Quando si costruisce senza criterio, ignorando i vincoli idrogeologici, si mette a rischio l’intera comunità. Le aree dove un tempo l’acqua poteva disperdersi in modo naturale sono state occupate da palazzi, parcheggi e strade, senza alcun rispetto per l’ambiente circostante. Il risultato? Ogni volta che piove, l’acqua non ha più dove andare, e l’esito è sotto gli occhi di tutti: fiumi in piena, allagamenti e distruzione.

È ora di smetterla di parlare di “bombe d’acqua”. Quello che stiamo vedendo sono le conseguenze di decenni di mancata cura del nostro pianeta e di un’edilizia miope. Il cambiamento climatico non è una bomba: è un processo lento e costante, innescato dall’uomo e, purtroppo, ampiamente ignorato dai decisori politici.

La domanda non dovrebbe più essere “quando avverrà la prossima bomba d’acqua?”, ma piuttosto “cosa stiamo facendo per impedirla?”. E se la risposta è nulla, allora il problema non è l’acqua che cade dal cielo, ma la nostra incapacità di affrontare la realtà.

IO AMO BERGAMO

IO AMO BERGAMO

Sono nato e vivo a Bergamo.
Sono Bergamasco, mi sento bergamasco.
Parlo italiano, inglese ma sono immerso nel dialetto bergamasco.
Vivo nell’epicentro della più grande epidemia che l’Italia, l’Europa e forse il mondo intero abbiano mai dovuto affrontare dai tempi della peste. E tutto questo ci ha travolti in pochi giorni.
Le persone accanto a me cadono come mosche una ad una e le campane contano chi non ce la fa dalla mattina e la sera.

Il nostro mondo si è fermato. Attorno a noi è tutto così surreale… Strade vuote, negozi spenti e scuole chiuse ormai da 4 settimane. Centri commerciali che appaiono come cattedrali abbandonate nel deserto.
La tragedia vive negli ospedali. Medici, infermieri e aiutanti che non contano le ore private al sonno.
Il silenzio per strada è rotto solamente dal grido delle ambulanze, talvolta dagli elicotteri che volano sopra di noi in direzione del grande Ospedale di Bergamo.

Non si vede la luce in fondo al tunnel. I numeri sono impietosi e parlano chiaro: fino a quando non rimarrà tutto definitivamente fermo per almeno 15-20 giorni, non usciremo da questo incubo.

Da parte mia, come per tutti il lavoro è fermo. Non avremo di che sostentarci per chissà quante settimane, forse mesi.
Lo studio dove lavoro è chiuso e talvolta, se le leggi emanate di giorno in giorno lo permettono, vi faccio visita per i controlli di routine. Telecamere, server, connessione. Verso acqua alle piante, povere loro.
Poi esco e torno subito a casa. Lungo la strada non incontro nessuno. Ad aspettarmi una compagna, un cagnolino Jack Russell voglioso di correre nei prati e lui, il mio piccolo bimbo di 2 anni. Lui che non esce più di casa, non si reca dall’asilo nido da un mese e si chiede che fine abbiano fatto i suoi amichetti e le coccole della maestra.

I giorni passano, lenti e tutti uguali. Ho spostato a casa tutto ciò che mi era possibile muovere dallo studio, tutto ciò che mi permettesse di continuare a lavorare e di ultimare ciò che avevo in corso. Fortunatamente il lavoro non si è fermato del tutto e dopo aver allestito un piccolo studio nell’unica stanzetta di casa ancora poco utilizzata, ho potuto continuare fingendo che nulla attorno a noi fosse cambiato.

Bergamo è vuota. Mi sarebbe piaciuto poterla riprendere, magari con un drone. Qualcuno lo ha fatto ma disobbedendo alle attuali leggi. Così l’ingegno ha colto la palla la balzo. Essendo fotografo di Google, tempo fa Google mi diede accesso a Google Earth Studio (ne ho parlato in questo post) e questa mi è parsa una buona occasione per poterlo testare e scoprirne le potenzialità.
Il flusso di lavoro, che complessivamente ha comportato l’impegno di 1 settimana è stato suddiviso in:

  • Selezione dei punti di interesse geografici e storici
  • Posizionamento delle camere, inquadrature e punti luce del sole in Google Earth Studio
  • Animazione con keyframe
  • Rendering via web
  • Importazione nella timeline di Final Cut Pro X
  • Ricerca e selezione della traccia audio
  • Editing subordinato alla traccia audio e al testo scelto (una squisita dedica di Rudolf Von Klaus alla mia Bergamo)
  • Correzione colore
  • Applicazione di filtri cinema
  • Lensflare e bagliori in alcune scene
  • Nuvole volumetriche in alcune scene
  • Titolazioni

… e innumerevoli modifiche a seguire.
Il risultato è una dedica sincera per la mia città che mi auguro apprezzerete.

Forza Bergamo, non mollare.
#BergamoMolaMia

IO AMO BERGAMO (Versione integrale)
IO AMO BERGAMO (Versione in lingua inglese)


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I was born and live in Bergamo.
I’m from Bergamo, I am part of it.
I speak Italian, English but I am immersed in the Bergamo dialect.
I live in the epicenter of the largest epidemic that Italy, Europe and perhaps the whole world have ever had to face since the time of the plague. And all this overwhelmed us in a few days.
The people next to me fall like flies one by one and the bells count those who can’t make it from morning to evening.

Our world has stopped. Everything around us is so surreal … Empty streets, shops turned off and schools closed for 4 weeks now. Shopping malls look like abandoned cathedrals in the desert.
The tragedy lives in hospitals. Doctors, nurses and helpers who don’t count private hours of sleep.
The silence on the street is broken only by the screem of the ambulances, sometimes by the helicopters that fly over us in the direction of the great Bergamo Hospital.

We don’t see the light at the bottom of the tunnel. The numbers are pitiless and speak clearly: until everything remains permanently stopped for at least 15-20 days, we will not get out of this nightmare.

The work is stopped for everybody. We will have nothing to support ourselves for who knows how many weeks, maybe months.
The studio where I work is closed and sometimes, if the laws passed day by day allow it, I take a visit for routine checks. Cameras, servers, connection. To water plants, poor them.
Then I go back home immediately. On the way I never meet anyone. A partner is waiting for me, a dog Jack Russell eager to run in the meadows and him, my little 2 year old boy. He who no longer leaves the house, has not gone to the nursery for a month and wonders what happened to his friends and the teacher ‘s cuddles.

The days go by, slow and all the same. I moved everything that was possible to move from the studio home, everything that allowed me to continue working and complete what I had in progress. Fortunately, the work did not stop completely and after setting up a small study in the only little room in the house that was still little used, I was able to continue pretending that nothing around us had changed.

Bergamo is empty. I would have liked to be able to film it, perhaps with a drone. Someone did it but disobeying current laws. So the ingenuity took the ball. Being a Google photographer, long ago Google gave me access to Google Earth Studio (I talked about it in this post) and this seemed to me a good opportunity to be able to test it and discover its potential.
The workflow, which overall involved the 1 week commitment, was divided into:

  • Selection of geographical and historical points of interest
  • Positioning of cameras, shots and highlights in Google Earth Studio
  • Keyframe animation
  • Web rendering
  • Import the rendered files into Final Cut Pro X timeline
  • Search and select the audio track
  • Editing sub to the audio track and the chosen text (an exquisite Bergamo’s dedication by Rudolf Von Klaus)
  • Color correction
  • Application of cinema filters
  • Lensflare and flashes in some scenes
  • Volumetric clouds in some scenes
  • Titles

… and countless changes to follow.

The result is a sincere dedication for my city which I hope you will appreciate.

Come on Bergamo, don’t give up.
#BergamoMolaMia

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IO AMO BERGAMO (English version)


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IO AMO BERGAMO

Director
Stefano Giambellini

Assistant
Mara Moretti

Producer
Incontroluce Creative Studio

Soundtrack
Dreamland
Composed and arranged by
Aakash Gandhi

Special Thanks
Google Earth

Bohemian Oriopsody

Bohemian Oriopsody

L’ anteprima mondiale del film Bohemian Rhapsody presso il Cinema Multisala UCI di Orio Center non ha passato il test. 🙂

SEGWAY NINEBOT ES2

SEGWAY NINEBOT ES2

La prova su strada di Ninebot ES2 di Segway. Imperdibile la prova, imperdibile Ninebot.


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Many thanks to SteGre® for the magica experience with his ES2. I appreciate. A lot.

Music

SAND CASTLE
by The Green Orbs

WHILE YOU WORK IT
by Dan Lebowitz

TIPTOE OUT THE BACK
by Dan Lebowitz

STAND UP
by Norma Rockwell

BIKE RIDES
by The Green Orbs

RIVER EXPLORERS

Altrimenti improponibili momenti di pausa tra una ripresa e l’altra lungo le rive del fiume Adda. Ammettiamolo Andrea, il nostro lavoro ci piace un casino!

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Music

“Lemon Tea” by GYVUS
“I’m Lost” by Hazy Year
“Too Much” by Vanilla
“If Only For A Day” by iamalex
“We Can Make It” by Flamingosis