Il grande orecchio

Il grande orecchio

Qualche giorno fa mi è capitato qualcosa di decisamente inquietante. Stavo parlando al telefono con un amico di un prodotto – niente ricerche su Google, niente messaggi, niente social. Solo una chiacchierata tra due persone, come si è sempre fatto. Due giorni dopo, senza che io abbia mai cercato nulla a riguardo, mi ritrovo pubblicità proprio di quel prodotto su Facebook e Instagram.

Ora, fosse la prima volta, potrei anche pensare a una coincidenza. Ma succede sempre più spesso, e a questo punto il dubbio diventa inevitabile: ci stanno ascoltando?

Le grandi aziende tecnologiche negano tutto. Dicono che non serva ascoltare, perché gli algoritmi di tracciamento sono già abbastanza avanzati da prevedere i nostri interessi basandosi sulle ricerche fatte, sui siti visitati e sulle interazioni con gli amici. Ma qui il punto è un altro: quando un prodotto che non ho mai digitato, mai cercato, mai sfiorato in alcun modo compare davanti ai miei occhi dopo una semplice conversazione a voce, qualcosa non torna.

Nessuna prova ufficiale, ma tanti sospetti

Se si cerca una conferma definitiva, non la si trova. Non esiste un’indagine che dimostri con certezza che smartphone e app ascoltano le nostre conversazioni per scopi pubblicitari. Eppure, nel tempo, qualche elemento sospetto è emerso:
Facebook è stata più volte accusata di farlo. Mark Zuckerberg ha sempre negato, ma il sospetto non si è mai spento.
Google e Amazon hanno ammesso che i loro assistenti vocali registrano conversazioni private. Ufficialmente, non per pubblicità, ma per “migliorare il servizio”. Certo.
Alcune app sono state beccate ad accedere al microfono senza autorizzazione esplicita. Chi ci dice che altre non lo facciano ancora?
Il punto è semplice: nessuno può dimostrare che ci ascoltino, ma nessuno può nemmeno dimostrare con assoluta certezza il contrario. E le coincidenze iniziano a essere troppe per archiviarle come semplici casualità.

Come potrebbe funzionare?

Se volessero ascoltarci, non lo farebbero registrando ogni parola – sarebbe assurdo per quantità di dati e impatto sulla batteria. Ma potrebbero attivare il microfono per pochi millisecondi, intercettare parole chiave e associarle al nostro profilo pubblicitario. Oppure, potrebbero sfruttare il tracciamento incrociato: magari non è il mio telefono a spiare, ma quello del mio interlocutore, che subito dopo la telefonata fa una ricerca su Google, dando così il segnale agli algoritmi.

La verità è che non sapremo mai fino in fondo come funziona davvero. Le aziende che gestiscono questi sistemi hanno accesso a una quantità di dati immensa e a tecnologie di tracciamento sempre più sofisticate. L’unica certezza è che più sanno di noi, più ci profilano, più guadagnano.

Possiamo evitarlo?

Disattivare il microfono di alcune app, ridurre il tracciamento pubblicitario, spegnere gli assistenti vocali: qualche contromisura esiste, ma nella realtà dei fatti, evitare del tutto questo meccanismo è impossibile. A meno di non spegnere il telefono e tornare a vivere come negli anni ’90.

La questione è seria, perché se davvero ci stanno ascoltando, non stiamo parlando solo di pubblicità invadente. Stiamo parlando di una violazione della privacy enorme, normalizzata e accettata solo perché nessuno riesce a dimostrarla fino in fondo.

Per ora, le aziende negano e le prove schiaccianti non ci sono. Ma ogni volta che succede, ogni volta che compare quell’annuncio che non dovrebbe esserci, la sensazione che qualcosa non quadri si fa sempre più forte.


Ecco cosa ho trovato in rete

Se qualcuno ha avuto esperienze simili, sarebbe interessante confrontarsi. Coincidenze o qualcosa di più?

Il funerale dei monopattini

Il funerale dei monopattini

Se casco, targa e assicurazione vi sembrano il funerale dei monopattini, beh, mettetevi comodi: il corteo funebre è già in strada. Anzi, potrebbe essere rallentato da un paio di monopattini parcheggiati in mezzo alla pista ciclabile.

Devo dirlo, questa questione mi tocca da vicino. Sono un orgoglioso proprietario di lunga data di un monopattino. Pensate che sono stato un “precursore” sin dal 2004, quando ho acquistato uno dei primi monopattini elettrici in commercio, con batterie che duravano a malapena il tempo di un giro dell’isolato. Negli anni, ho realizzato vlog dedicati ai modelli più aggiornati fino al 2022 e, sebbene ne possieda ancora uno, ahimè, ormai lo utilizzo solo durante le vacanze al mare. Ora, con queste nuove regole all’orizzonte, sono davvero indeciso su cosa farò nel futuro immediato.

È un peccato, lo ammetto. I monopattini elettrici sono stati per anni il simbolo della libertà urbana, il mezzo di trasporto per eccellenza di chi voleva sentirsi sostenibile, smart e un po’ ribelle. Li vedevi sfrecciare ovunque: sui marciapiedi, in contromano, tra i tavolini dei bar. Una rivoluzione su due ruote, che spesso dimenticava le regole basilari del vivere civile.

Ora, però, la festa sembra finita. Casco obbligatorio, targa e assicurazione sono le nuove regole del gioco, e per molti suonano come un epitaffio. Ma siamo sicuri che sia davvero così?

La rivoluzione… disciplinata.

L’idea di salire sul monopattino senza pensieri è sempre stata il suo fascino più grande. Lo prendi, parti e via, senza troppi fronzoli. Ma è proprio questa semplicità che ha portato a problemi non indifferenti: incidenti, parcheggi selvaggi, comportamenti pericolosi. Insomma, la libertà ha un prezzo, e spesso lo paga qualcun altro.

Le nuove norme mirano a risolvere questi problemi, rendendo i monopattini più sicuri e integrandoli meglio nel traffico cittadino. Certo, per chi li usava solo per un giretto occasionale o per andare in ufficio, queste regole potrebbero sembrare un deterrente. Casco? Ma non è che mi spettino? Assicurazione? Ma allora tanto vale prendere una macchina!

Un nuovo capitolo

Eppure, proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno. Queste regole potrebbero portare a un’evoluzione del monopattino, trasformandolo da mezzo di trasporto improvvisato a una soluzione di mobilità più seria e rispettata. Magari, con il tempo, vedremo meno parcheggi selvaggi e meno incidenti. E forse, dico forse, smetteremo di odiarli.

Le aziende di sharing, dal canto loro, dovranno adattarsi. I costi aumenteranno, certo, e probabilmente alcuni utenti occasionali spariranno. Ma chi davvero crede nei monopattini come alternativa di mobilità potrebbe apprezzare la maggiore sicurezza e l’ordine che queste regole promettono di portare.

È davvero un funerale?

Forse non è un funerale, ma una rinascita. Un addio al monopattino selvaggio e un benvenuto al monopattino responsabile. Certo, ci mancherà un po’ quel caos colorato e improvvisato che aveva reso le nostre città così… particolari. Ma chi lo sa? Magari, tra qualche anno, guarderemo indietro e ci chiederemo come abbiamo fatto a vivere senza casco, targa e assicurazione.

HDMI 2.2: Il futuro è Ultra!

HDMI 2.2: Il futuro è Ultra!

Il CES 2025 ha alzato il sipario su un’altra rivoluzione tecnologica: il Forum HDMI e l’HDMI Licensing Administrator (HDMI LA) hanno presentato ufficialmente lo standard HDMI 2.2. E no, non si tratta di un semplice aggiornamento.

Con una larghezza di banda massima di 96 Gbps, questo nuovo standard mette in pensione il suo predecessore HDMI 2.1 e spalanca le porte a risoluzioni stratosferiche come 10K a 120Hz, 8K a 240Hz e persino 4K a 480Hz. Per sfruttarlo, è stato lanciato il nuovo cavo certificato “Ultra96”, perché se non hai un nome che suona futuristico, nemmeno entri in gioco.

Prestazioni da urlo (ma serve davvero tutto questo?)

HDMI 2.2 è progettato per chi vuole il massimo e per chi ancora si chiede: “Ma l’8K esiste davvero o è un meme?” La realtà è che al momento i contenuti nativi in 8K (figuriamoci 10K) sono praticamente inesistenti. Tuttavia, gli schermi con frequenze superiori a 144Hz e dimensioni sempre più imponenti stanno diventando una realtà comune, e HDMI 2.2 si presenta come il ponte verso un futuro ultra-definito.

Se il tuo sogno è vedere ogni poro del viso degli attori o contare i pixel nei videogiochi, sei nel posto giusto. Se invece come me hai ancora un televisore Sony Full HD del 2009, forse è meglio aspettare.

Novità per il gaming e non solo

Tra le innovazioni più interessanti c’è il Latency Indication Protocol (LIP). Ti suona complicato? In realtà è il salvatore di chi ha passato ore a cercare di sincronizzare audio e video tra soundbar e TV. Grazie a questo protocollo, finalmente l’audio non arriverà in ritardo rispetto al movimento delle labbra degli attori (o dei calciatori, per chi come mio figlio guarda solo lo sport).

In più, il supporto al Dynamic HDR rende i colori più vivi, le ombre più dettagliate e le scene luminose così nitide che potresti dover indossare gli occhiali da sole.

Ma c’è un problema: la compatibilità

Tutto fantastico, vero? Peccato che per sfruttare HDMI 2.2 servano dispositivi compatibili, e al momento né le TV né le GPU di NVIDIA o AMD sono pronte. Un déjà vu di quando è arrivato il DisplayPort 2.1, accolto con un entusiasmo pari a quello per le diete detox dopo le feste.

Per adesso, HDMI 2.2 è un diamante grezzo in attesa di un mercato che lo accolga. La buona notizia è che il programma di certificazione “Ultra96” garantirà cavi autentici con tanto di etichette anti-contraffazione. Quindi, almeno, niente fregature su quello.

Serve davvero?

HDMI 2.2 è senza dubbio una pietra miliare. Ma a meno che tu non sia un gamer hardcore, un videomaker futurista o semplicemente un tech enthusiast che vuole tutto e subito, potrebbe essere il caso di aspettare. Dopotutto, anche se i tuoi occhi brillano all’idea di un 10K a 120Hz, la tua TV del salotto potrebbe risponderti con un secco: “Ma davvero?”.

E ora, via con le domande: tu quanto sei pronto a vedere il futuro in ultra-super-mega-HD?

Il naso di Voldemort

Il naso di Voldemort

Se oggi mi ritrovo a scrivere di Voldemort e del mistero del suo naso scomparso, è colpa – o forse merito – di una certa “malattia” che affligge la parte femminile della mia famiglia. Sì, parlo della mania di vedere e rivedere Harry Potter come se fosse una nuova serie Netflix appena uscita. Ogni anno, puntuali come un gufo con la posta, i film tornano sul nostro schermo e con loro le domande più assurde: “Ma perché nessuno ripara gli occhiali di Harry?”, “Come fa un gigante come Hagrid a guidare una moto volante senza che essa si rompa?” e, soprattutto, “Che fine ha fatto il naso di Voldemort?”.

Entriamo nel vivo. Il Signore Oscuro, l’uomo (o meglio, il mezzo-uomo) che tutti amiamo odiare, è famoso per molte cose: la pelle color calcestruzzo, il sorriso che non usa mai e, ovviamente, quel volto serpentino senza naso. Ma cosa è successo veramente? Si è dimenticato in un calderone? Ha scelto di sacrificare le narici in nome del minimalismo estetico? O è stato vittima di un incantesimo anti-raffreddore finito male?

La verità è che Voldemort ha perso più di un naso lungo la sua strada verso l’immortalità. Con ogni Horcrux creato – oggetti in cui ha nascosto pezzi della sua anima – si è allontanato sempre di più dalla sua umanità. L’ossessione per il potere e il controllo lo ha trasformato non solo dentro, ma anche fuori, fino a farlo assomigliare a un serpente. Le narici ridotte a fessure sono il simbolo del suo legame con i rettili, il suo animale simbolico. Insomma, il suo naso non è stato tagliato da un nemico, ma è sparito insieme al suo ultimo briciolo di umanità.

Nei film, il design del suo volto è stato pensato per trasmettere terrore e disumanità. Un cattivo senza naso? Bingo. Aggiungi la pelle pallida e gli occhi rossi, ed ecco un personaggio che nemmeno una madre abbraccerebbe. Ma, tra noi, se fosse andato da un buon chirurgo magico, magari avrebbe scelto un naso più pratico, tipo quello di Piton: funzionale e drammatico al punto giusto.

E così, ogni volta che Voldemort appare sullo schermo, la domanda si ripete. E io, ormai, non posso fare a meno di spiegarlo, che lo voglia o no. Il bello – o il dramma – è che questa “malattia” sembra essere estremamente contagiosa. Dopo aver colpito mia moglie e mio fratello, il virus ha già iniziato a insinuarsi nei miei figli. Il maggiore, per esempio, ha già chiesto: “Ma Papà, perché Voldemort non si fa ricrescere il naso con un incantesimo?”. E io lì, cercando di spiegare seriamente che nemmeno la magia può risolvere certe scelte estetiche…

125 in Autostrada

125 in Autostrada

125 in autostrada: liberi tutti, ma siamo sicuri che sia una buona idea?

Da sabato 14 dicembre 2024, le moto e gli scooter 125 cc possono finalmente accedere alle autostrade e alle tangenziali. Una notizia che ha fatto saltare di gioia chi ha un mezzo leggero e, fino a ieri, doveva destreggiarsi tra strade secondarie e percorsi alternativi spesso più lunghi e stressanti. Ma, come si dice, non è tutto oro quello che luccica.

Cosa cambia con la nuova normativa.

Prima di questa modifica, il Codice della Strada vietava tassativamente ai motocicli sotto i 150 cc di mettere piede – anzi ruota – sulle autostrade. Ora invece, con il requisito di avere almeno 120 cc (6 kW per gli elettrici) e una patente adatta, anche i 125 cc possono godere del vento in faccia sulla A4 o la tangenziale di Milano. Tutto questo però con alcune limitazioni: serve essere maggiorenni o, in alternativa, avere almeno due anni di esperienza con la patente A1 o A2.

Una scelta di comodità o di sicurezza?

Diciamocelo, questa riforma ha il profumo della comodità, ma forse non è stata pensata fino in fondo per la sicurezza. Perché? Immaginatevi una bella giornata d’estate: voi, il vostro scooter 125 cc, e un’autostrada popolata da camion che sfrecciano a pochi metri di distanza. Tra vortici d’aria e differenze di velocità, non serve un esperto per capire che il mix potrebbe rivelarsi esplosivo.

La corsia di destra, quella destinata agli scooter, è infatti spesso territorio dei mezzi pesanti. Due categorie che, a lungo andare, sembrano destinate a non andare molto d’accordo. E non parliamo solo di urti (che già sarebbero un bel problema), ma anche di vento laterale, distanze di sicurezza spesso ignorate e sorpassi azzardati.

Tangenziali: un po’ più di senso, ma solo un po’.

Diverso il discorso per le tangenziali. Qui la velocità è più contenuta e la presenza di mezzi pesanti meno invasiva. Inoltre, difficilmente si percorrono lunghe distanze, il che riduce i rischi. Insomma, il compromesso sembra più ragionevole.

Un buon senso che traballa.

I sostenitori di questa riforma, come l’ANCMA e la Federazione Motociclistica Italiana, la definiscono un “intervento di buonsenso”. E lo è, per certi aspetti: semplifica la vita agli scooteristi, permette all’Italia di allinearsi con il resto d’Europa e offre nuove possibilità a chi usa questi mezzi per spostamenti quotidiani.

Ma il buon senso, per sua natura, deve tenere conto di tutti i fattori, compresi quelli meno piacevoli. E qui le criticità ci sono, eccome. Più mezzi in autostrada, più possibilità di incidenti, più rischi per i conducenti di moto leggere.

Prudenza, sempre.

Insomma, se avete un 125 e non vedevate l’ora di lanciarvi in autostrada, fatelo con la testa sulle spalle. Attenti ai camion, rispettate i limiti di velocità e tenete sempre un occhio agli specchietti. E magari, se potete scegliere, iniziate dalle tangenziali.

Perché sì, la libertà di movimento è fantastica, ma la sicurezza viene sempre prima. E su questo, credo, possiamo essere tutti d’accordo.

Smartphone e Minori

Smartphone e Minori

Non so voi, ma ultimamente mi capita spesso di riflettere sul rapporto tra smartphone e ragazzi. Sarà che ormai gli smartphone sono ovunque, sarà che ogni tanto vedo bimbi di pochi anni maneggiare uno schermo con più destrezza di me quando cerco di sistemare un cavo USB. Fatto sta che il tema mi tocca da vicino. Per questo oggi voglio condividere qualche pensiero personale su un argomento che merita tutta la nostra attenzione.

Ecco qui di getto alcune domande e altrettanti pensieri sparsi.

Avete mai sentito parlare di “Wait Until 8th”? È un movimento americano che suggerisce ai genitori di aspettare fino all’ottavo anno di scuola primaria prima di regalare uno smartphone ai figli. Un po’ drastico, penserete, ma non è un’idea del tutto campata in aria. L’obiettivo è quello di regalare ai bambini un’infanzia meno schiacciata dalle notifiche e più ricca di esperienze reali.

E in Europa? Beh, qui la faccenda si fa interessante. In alcune scuole, lo smartphone è diventato il nemico pubblico numero uno: bandito durante le lezioni. Mi piace pensare che sia un modo per riscoprire il piacere di una chiacchierata faccia a faccia o di una partita a carte nella pausa, invece di scrollare TikTok per ore.

Gli effetti sulla salute (e su di noi genitori)? Ok, parliamo di cose serie: la salute. Che gli smartphone siano uno strumento utile è fuori discussione, ma a che prezzo? I dati parlano chiaro: più tempo sullo schermo equivale a meno sonno, più ansia e, spesso, più solitudine. Ho letto studi che parlano di posture sbagliate, occhi affaticati e quella famigerata “FOMO” (la paura di perdersi qualcosa). Ma sapete una cosa? Non servono studi per accorgersene: basta osservare i nostri figli o, perché no, anche noi stessi.

E i social? Non iniziamo nemmeno. O meglio, iniziamo, ma con un bel respiro profondo. La pressione di apparire sempre al meglio, di collezionare like come figurine Panini, non è certo salutare. È un mondo che amplifica le insicurezze, e se fa effetto su di noi adulti, immaginate cosa può fare su un adolescente.

Genitori e insegnanti: siamo pronti?
Qui arriva la parte difficile. Come genitori, ci troviamo a navigare un terreno pieno di insidie. Regole, limiti, monitoraggio… sembra quasi di essere guardiani di un faro in mezzo alla tempesta. Ma forse è proprio qui che dobbiamo fare la differenza. Non dico che sia facile, anzi. Però possiamo iniziare con cose semplici: spegnere i dispositivi durante i pasti, scegliere app utili e, soprattutto, parlare. Parlarne con i nostri figli, spiegando il perché delle nostre scelte.

E gli insegnanti? Anche loro hanno un ruolo chiave. Ho sempre pensato che la scuola non sia solo un luogo di apprendimento, ma anche un laboratorio sociale. Sensibilizzare gli studenti, organizzare incontri con esperti, proporre attività che non richiedano uno schermo: tutte cose che possono fare la differenza.

Cosa ci riserva il futuro?
Qui entriamo nel campo delle ipotesi. Si parla di normative più stringenti, come vietare l’accesso ai social ai minori di una certa età o introdurre verifiche più rigorose. Dall’altra parte, la tecnologia potrebbe aiutarci con app e sistemi di controllo sempre più avanzati. Ma sapete cosa penso? La tecnologia non può essere l’unica risposta. Serve anche un cambiamento culturale, una nuova consapevolezza.

E se il futuro fosse più “analogico”? Magari, un giorno, torneremo ad apprezzare la bellezza di un album fotografico o il fascino di una lettera scritta a mano. Nel frattempo, dobbiamo trovare un equilibrio, un modo per far convivere tradizione e innovazione.

Insomma, il tema è complesso, e non pretendo di avere tutte le risposte. Quello che so è che vale la pena parlarne, confrontarsi, sperimentare. Se da un lato non possiamo fermare il progresso, dall’altro abbiamo il dovere di guidarlo, per il bene dei nostri figli e della società intera.