Il naso di Voldemort

Il naso di Voldemort

Se oggi mi ritrovo a scrivere di Voldemort e del mistero del suo naso scomparso, è colpa – o forse merito – di una certa “malattia” che affligge la parte femminile della mia famiglia. Sì, parlo della mania di vedere e rivedere Harry Potter come se fosse una nuova serie Netflix appena uscita. Ogni anno, puntuali come un gufo con la posta, i film tornano sul nostro schermo e con loro le domande più assurde: “Ma perché nessuno ripara gli occhiali di Harry?”, “Come fa un gigante come Hagrid a guidare una moto volante senza che essa si rompa?” e, soprattutto, “Che fine ha fatto il naso di Voldemort?”.

Entriamo nel vivo. Il Signore Oscuro, l’uomo (o meglio, il mezzo-uomo) che tutti amiamo odiare, è famoso per molte cose: la pelle color calcestruzzo, il sorriso che non usa mai e, ovviamente, quel volto serpentino senza naso. Ma cosa è successo veramente? Si è dimenticato in un calderone? Ha scelto di sacrificare le narici in nome del minimalismo estetico? O è stato vittima di un incantesimo anti-raffreddore finito male?

La verità è che Voldemort ha perso più di un naso lungo la sua strada verso l’immortalità. Con ogni Horcrux creato – oggetti in cui ha nascosto pezzi della sua anima – si è allontanato sempre di più dalla sua umanità. L’ossessione per il potere e il controllo lo ha trasformato non solo dentro, ma anche fuori, fino a farlo assomigliare a un serpente. Le narici ridotte a fessure sono il simbolo del suo legame con i rettili, il suo animale simbolico. Insomma, il suo naso non è stato tagliato da un nemico, ma è sparito insieme al suo ultimo briciolo di umanità.

Nei film, il design del suo volto è stato pensato per trasmettere terrore e disumanità. Un cattivo senza naso? Bingo. Aggiungi la pelle pallida e gli occhi rossi, ed ecco un personaggio che nemmeno una madre abbraccerebbe. Ma, tra noi, se fosse andato da un buon chirurgo magico, magari avrebbe scelto un naso più pratico, tipo quello di Piton: funzionale e drammatico al punto giusto.

E così, ogni volta che Voldemort appare sullo schermo, la domanda si ripete. E io, ormai, non posso fare a meno di spiegarlo, che lo voglia o no. Il bello – o il dramma – è che questa “malattia” sembra essere estremamente contagiosa. Dopo aver colpito mia moglie e mio fratello, il virus ha già iniziato a insinuarsi nei miei figli. Il maggiore, per esempio, ha già chiesto: “Ma Papà, perché Voldemort non si fa ricrescere il naso con un incantesimo?”. E io lì, cercando di spiegare seriamente che nemmeno la magia può risolvere certe scelte estetiche…

125 in Autostrada

125 in Autostrada

125 in autostrada: liberi tutti, ma siamo sicuri che sia una buona idea?

Da sabato 14 dicembre 2024, le moto e gli scooter 125 cc possono finalmente accedere alle autostrade e alle tangenziali. Una notizia che ha fatto saltare di gioia chi ha un mezzo leggero e, fino a ieri, doveva destreggiarsi tra strade secondarie e percorsi alternativi spesso più lunghi e stressanti. Ma, come si dice, non è tutto oro quello che luccica.

Cosa cambia con la nuova normativa.

Prima di questa modifica, il Codice della Strada vietava tassativamente ai motocicli sotto i 150 cc di mettere piede – anzi ruota – sulle autostrade. Ora invece, con il requisito di avere almeno 120 cc (6 kW per gli elettrici) e una patente adatta, anche i 125 cc possono godere del vento in faccia sulla A4 o la tangenziale di Milano. Tutto questo però con alcune limitazioni: serve essere maggiorenni o, in alternativa, avere almeno due anni di esperienza con la patente A1 o A2.

Una scelta di comodità o di sicurezza?

Diciamocelo, questa riforma ha il profumo della comodità, ma forse non è stata pensata fino in fondo per la sicurezza. Perché? Immaginatevi una bella giornata d’estate: voi, il vostro scooter 125 cc, e un’autostrada popolata da camion che sfrecciano a pochi metri di distanza. Tra vortici d’aria e differenze di velocità, non serve un esperto per capire che il mix potrebbe rivelarsi esplosivo.

La corsia di destra, quella destinata agli scooter, è infatti spesso territorio dei mezzi pesanti. Due categorie che, a lungo andare, sembrano destinate a non andare molto d’accordo. E non parliamo solo di urti (che già sarebbero un bel problema), ma anche di vento laterale, distanze di sicurezza spesso ignorate e sorpassi azzardati.

Tangenziali: un po’ più di senso, ma solo un po’.

Diverso il discorso per le tangenziali. Qui la velocità è più contenuta e la presenza di mezzi pesanti meno invasiva. Inoltre, difficilmente si percorrono lunghe distanze, il che riduce i rischi. Insomma, il compromesso sembra più ragionevole.

Un buon senso che traballa.

I sostenitori di questa riforma, come l’ANCMA e la Federazione Motociclistica Italiana, la definiscono un “intervento di buonsenso”. E lo è, per certi aspetti: semplifica la vita agli scooteristi, permette all’Italia di allinearsi con il resto d’Europa e offre nuove possibilità a chi usa questi mezzi per spostamenti quotidiani.

Ma il buon senso, per sua natura, deve tenere conto di tutti i fattori, compresi quelli meno piacevoli. E qui le criticità ci sono, eccome. Più mezzi in autostrada, più possibilità di incidenti, più rischi per i conducenti di moto leggere.

Prudenza, sempre.

Insomma, se avete un 125 e non vedevate l’ora di lanciarvi in autostrada, fatelo con la testa sulle spalle. Attenti ai camion, rispettate i limiti di velocità e tenete sempre un occhio agli specchietti. E magari, se potete scegliere, iniziate dalle tangenziali.

Perché sì, la libertà di movimento è fantastica, ma la sicurezza viene sempre prima. E su questo, credo, possiamo essere tutti d’accordo.

Smartphone e Minori

Smartphone e Minori

Non so voi, ma ultimamente mi capita spesso di riflettere sul rapporto tra smartphone e ragazzi. Sarà che ormai gli smartphone sono ovunque, sarà che ogni tanto vedo bimbi di pochi anni maneggiare uno schermo con più destrezza di me quando cerco di sistemare un cavo USB. Fatto sta che il tema mi tocca da vicino. Per questo oggi voglio condividere qualche pensiero personale su un argomento che merita tutta la nostra attenzione.

Ecco qui di getto alcune domande e altrettanti pensieri sparsi.

Avete mai sentito parlare di “Wait Until 8th”? È un movimento americano che suggerisce ai genitori di aspettare fino all’ottavo anno di scuola primaria prima di regalare uno smartphone ai figli. Un po’ drastico, penserete, ma non è un’idea del tutto campata in aria. L’obiettivo è quello di regalare ai bambini un’infanzia meno schiacciata dalle notifiche e più ricca di esperienze reali.

E in Europa? Beh, qui la faccenda si fa interessante. In alcune scuole, lo smartphone è diventato il nemico pubblico numero uno: bandito durante le lezioni. Mi piace pensare che sia un modo per riscoprire il piacere di una chiacchierata faccia a faccia o di una partita a carte nella pausa, invece di scrollare TikTok per ore.

Gli effetti sulla salute (e su di noi genitori)? Ok, parliamo di cose serie: la salute. Che gli smartphone siano uno strumento utile è fuori discussione, ma a che prezzo? I dati parlano chiaro: più tempo sullo schermo equivale a meno sonno, più ansia e, spesso, più solitudine. Ho letto studi che parlano di posture sbagliate, occhi affaticati e quella famigerata “FOMO” (la paura di perdersi qualcosa). Ma sapete una cosa? Non servono studi per accorgersene: basta osservare i nostri figli o, perché no, anche noi stessi.

E i social? Non iniziamo nemmeno. O meglio, iniziamo, ma con un bel respiro profondo. La pressione di apparire sempre al meglio, di collezionare like come figurine Panini, non è certo salutare. È un mondo che amplifica le insicurezze, e se fa effetto su di noi adulti, immaginate cosa può fare su un adolescente.

Genitori e insegnanti: siamo pronti?
Qui arriva la parte difficile. Come genitori, ci troviamo a navigare un terreno pieno di insidie. Regole, limiti, monitoraggio… sembra quasi di essere guardiani di un faro in mezzo alla tempesta. Ma forse è proprio qui che dobbiamo fare la differenza. Non dico che sia facile, anzi. Però possiamo iniziare con cose semplici: spegnere i dispositivi durante i pasti, scegliere app utili e, soprattutto, parlare. Parlarne con i nostri figli, spiegando il perché delle nostre scelte.

E gli insegnanti? Anche loro hanno un ruolo chiave. Ho sempre pensato che la scuola non sia solo un luogo di apprendimento, ma anche un laboratorio sociale. Sensibilizzare gli studenti, organizzare incontri con esperti, proporre attività che non richiedano uno schermo: tutte cose che possono fare la differenza.

Cosa ci riserva il futuro?
Qui entriamo nel campo delle ipotesi. Si parla di normative più stringenti, come vietare l’accesso ai social ai minori di una certa età o introdurre verifiche più rigorose. Dall’altra parte, la tecnologia potrebbe aiutarci con app e sistemi di controllo sempre più avanzati. Ma sapete cosa penso? La tecnologia non può essere l’unica risposta. Serve anche un cambiamento culturale, una nuova consapevolezza.

E se il futuro fosse più “analogico”? Magari, un giorno, torneremo ad apprezzare la bellezza di un album fotografico o il fascino di una lettera scritta a mano. Nel frattempo, dobbiamo trovare un equilibrio, un modo per far convivere tradizione e innovazione.

Insomma, il tema è complesso, e non pretendo di avere tutte le risposte. Quello che so è che vale la pena parlarne, confrontarsi, sperimentare. Se da un lato non possiamo fermare il progresso, dall’altro abbiamo il dovere di guidarlo, per il bene dei nostri figli e della società intera.

Fotografare la magia del Natale

Fotografare la magia del Natale

Anche quest’anno, come ogni anno, il Natale a casa nostra è sinonimo di foto. La mamma è praticamente “desaparecida”, immersa fino al collo nelle sessioni fotografiche natalizie in studio, mentre papà vive in modalità 24/7, intento a terminare le produzioni per le feste di Natale delle aziende. In queste due settimane che precedono il grande giorno, è tutto un susseguirsi di eventi aziendali, luci, proiettori e tanta, tanta post-produzione.

Eppure, Natale è anche quel periodo dell’anno in cui il tuo telefono si riempie di foto, ma poi, diciamocelo, quante ne vale davvero la pena rivedere? Spesso scattiamo in modo impulsivo, e il risultato sono immagini sfocate, controluce o, peggio, con l’albero di Natale mozzato a metà. Ma non temere: con qualche piccolo accorgimento puoi trasformare i tuoi scatti in veri ricordi da incorniciare. E sì, letteralmente.

Proprio per questo, oggi il tema non poteva che essere: consigli pratici e (quasi) infallibili per scatti indimenticabili. Preparati a scattare e seguimi: non ti prometto magia, ma quasi!

Lascia parlare le luci natalizie
Le lucine dell’albero e delle decorazioni non sono solo lì per far atmosfera: sono anche perfette per dare magia alle tue foto. Spegni le luci principali e lascia brillare solo quelle natalizie. Per un tocco professionale, usa un’apertura ampia (f/2.8 o meno, se hai una macchina fotografica). E se hai solo il telefono? Nessun problema: avvicinati e lascia le luci sullo sfondo, creeranno comunque un effetto suggestivo.

Abbassati al livello dei bambini (letteralmente)
Fotografare i bambini è bellissimo, ma non c’è niente di meno interessante della loro testa vista dall’alto. Abbassati al loro livello per catturare lo sguardo e le emozioni. E se finisci sdraiato sul tappeto con una pallina dell’albero che ti rotola vicino? Bene così: le foto migliori si fanno con un po’ di spirito di adattamento (e magari un cuscino sotto le ginocchia).

Orizzontale vs verticale: la grande sfida
Va bene, lo smartphone ama le foto verticali, ma facciamoci un favore: ricordiamoci ogni tanto di scattare in orizzontale. La foto orizzontale è classica, elegante, e se decidi di stamparla per incorniciarla, sembrerai anche un fotografo di gran gusto. Certo, ci sono situazioni in cui il verticale ha senso (l’albero di Natale, ad esempio), ma non trasformare ogni scatto in un TikTok mancato.

Dettagli, dettagli, dettagli
A volte una storia intera è nascosta nei dettagli: la mano di un bambino che stringe un biscotto a forma di renna, una decorazione fatta a mano o un fiocco caduto a terra durante l’apertura dei regali. Avvicinati e riempi l’inquadratura con questi piccoli particolari, aggiungeranno profondità e poesia ai tuoi scatti.

Luce naturale: il miglior regalo che c’è
Di giorno, approfitta della luce naturale. Posiziona i tuoi soggetti vicino a una finestra e lascia che la luce morbida faccia il suo lavoro. Un consiglio da amico: evita la luce diretta del sole che crea ombre troppo dure. E no, il flash del telefono non è una luce naturale.

Cattura momenti, non pose
Va bene chiedere alla famiglia di mettersi in posa davanti all’albero, ma le foto più belle sono spesso quelle spontanee: i bambini che scartano i regali con occhi sgranati, una risata improvvisa, il nonno che si commuove davanti al presepe (sì, succede). Preparati a scattare quando meno te lo aspetti.

Non lasciare le foto nel digitale
Ultimo consiglio, ma forse il più importante: stampa le tue foto. Un piccolo album con i momenti più belli o una stampa elegante da incorniciare è un regalo che vale molto più di un oggetto qualsiasi. E poi, diciamolo, chi non ama ricevere un ricordo speciale da mettere sul comodino o in soggiorno?

Insomma, non serve essere un fotografo professionista per fare belle foto a Natale. Serve solo un pizzico di attenzione e voglia di raccontare una storia. Allora, pronto a scattare?

La fusione magnetica

La fusione magnetica

Ultimamente mi è capitato di cercare informazioni sulla fusione magnetica, un argomento che mi ha intrigato perché legato a un tema attualissimo: l’energia rinnovabile e sostenibile. Non so voi, ma io trovo affascinante quando la scienza si mette al servizio della vita di tutti i giorni, cercando soluzioni ai problemi concreti. Così ho pensato: perché non condividere quello che ho scoperto?

Di che si tratta?

Immaginate di poter accendere un “mini-Sole” sulla Terra per produrre energia. Sembra roba da film di fantascienza, ma è esattamente quello che la fusione magnetica cerca di fare. È una tecnologia che copia il modo in cui il nostro Sole genera energia: unendo due nuclei di atomi leggeri (tipo quelli dell’idrogeno) per formarne uno più pesante (l’elio) e liberare una quantità enorme di energia nel processo.

Ok, ma come si fa?

Ecco il trucco: per unire questi nuclei serve un ambiente così caldo che fa sembrare un forno a legna un frigorifero. Parliamo di temperature da milioni di gradi! A quel punto, la materia si trasforma in un plasma, un gas rovente dove particelle cariche si muovono libere.

Il problema? Non puoi “contenere” questo plasma in un barattolo o in un reattore normale. Ti servono dei campi magnetici potentissimi per tenerlo sospeso, come una palla che fluttua nell’aria. Ed è qui che entrano in gioco dispositivi dai nomi complicati come il tokamak (immaginate una ciambella gigante) o lo stellarator (che suona come un cattivo di un cartone animato).

Perché ci interessa?

Perché se un giorno riuscissimo a domare questa tecnologia, avremmo energia praticamente infinita e con vantaggi incredibili:

  • Niente emissioni nocive: addio CO2 e inquinamento.
  • Sicurezza: se qualcosa va storto, la reazione si spegne da sola, senza disastri.
  • Combustibili abbondanti: uno dei “carburanti” principali, il deuterio, è nell’acqua del mare. L’altro, il trizio, si può produrre durante il processo.

Ma allora, perché non lo facciamo subito?

Perché non è per niente facile. Oggi ci vuole più energia per mantenere il plasma stabile di quanta se ne riesca a produrre. È come cercare di riscaldare casa con una candela: ci vuole un sacco di lavoro per far sì che valga la pena. Però ci stiamo lavorando. Ad esempio, c’è un progetto internazionale gigantesco chiamato ITER, in Francia, che sta cercando di dimostrare che la fusione magnetica può funzionare su larga scala.

Il futuro (forse) è già qui

Lo so, tutto questo può sembrare lontano e un po’ astratto, ma pensateci: ogni passo in avanti potrebbe avvicinarci a un’energia pulita e sicura per tutti. E tutto questo ci riguarda più di quanto pensiamo, perché l’energia è parte della nostra vita quotidiana, dai fornelli alle auto elettriche.

L’Italia trionfa in Coppa Davis

L’Italia trionfa in Coppa Davis

L’Italia trionfa in Coppa Davis: un sogno diventato realtà

Oggi il tennis italiano ha scritto una delle pagine più gloriose della sua storia, conquistando la Coppa Davis per la seconda volta, a distanza di 48 anni dal leggendario successo del 1976. Un’impresa storica, resa possibile da un gruppo straordinario, guidato da un Jannik Sinner semplicemente straordinario.

Il 2024 è stato un anno magico per Sinner, che non solo ha conquistato le ATP Finals di Torino davanti a un pubblico in delirio, ma ha anche trascinato l’Italia in questa Coppa Davis, dimostrando una maturità e una leadership che vanno oltre i suoi 23 anni. Nella finale contro l’Olanda, Jannik ha affrontato momenti di enorme pressione: il match contro Tallon Griekspoor non era iniziato nel migliore dei modi, ma la sua freddezza nei punti chiave e la capacità di variare il gioco, unendo potenza e intelligenza tattica, lo hanno portato a ribaltare la situazione.

Accanto a lui, Matteo Berrettini, che pur non essendo al top della forma, ha messo il cuore in ogni partita, dimostrando di essere un pilastro della squadra, insieme al giovane Lorenzo Musetti e a un doppio sempre più affidabile.

Un anno da ricordare

Il 2024 ha regalato agli appassionati di tennis azzurro emozioni indescrivibili. La crescita di Sinner, ormai stabilmente tra i migliori del mondo, è il simbolo di un movimento che finalmente sta raccogliendo i frutti di anni di lavoro. Ma questa squadra ha dimostrato che il tennis italiano non è solo talento individuale: è un gruppo, è spirito di sacrificio, è voglia di vincere per una bandiera.

Nel femminile, anche Jasmine Paolini ha portato avanti la fiaccola tricolore, raggiungendo traguardi importanti e consolidandosi tra le prime del ranking WTA. Il tennis italiano, dunque, è un movimento vivo, con basi solide e un futuro luminoso.

Il tennis e lo sport italiano: una riflessione

Questa vittoria in Davis dovrebbe far riflettere sul peso che lo sport italiano al di fuori del calcio può e deve avere. Il tennis è cresciuto grazie al talento, certo, ma anche grazie a una Federazione che ha saputo investire nei giovani, nei centri tecnici, e nella promozione di eventi di alto livello come Roma e Torino. Purtroppo, molti sport in Italia continuano a essere considerati di “secondo piano” rispetto al calcio, e questo limita il potenziale di discipline che, come il tennis, stanno dimostrando di poter competere ai massimi livelli.

Grazie, ragazzi

Oggi, però, è tempo di celebrare. Questa Coppa Davis è una vittoria di squadra, di una generazione che ha riportato il tennis nelle case di tutti gli italiani. È la dimostrazione che lo sport può emozionare, unire, farci sognare. Grazie Sinner, Berrettini, Musetti, Arnaldi, Bolelli, e grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questa impresa.

L’Italia del tennis è più forte che mai. Ora non resta che guardare avanti: il sogno continua.