Carl Sagan, una Voce tra le Stelle

Carl Sagan, una Voce tra le Stelle

Oggi ricorre il novantesimo compleanno di Carl Sagan, uno di quei giganti della scienza che ci ha fatto alzare lo sguardo verso le stelle, ricordandoci che siamo “polvere di stelle” in un universo immenso. Sarebbe ancora qui, se un male raro non l’avesse portato via troppo presto, nel 1996, lasciandoci orfani di uno dei più appassionati esploratori del cosmo.

In un secolo ricco di scoperte, Sagan è stato una delle menti che ha cercato di far dialogare la nostra strana specie – sì, noi bipedi curiosi, alias Homo sapiens – con ipotetiche intelligenze extraterrestri. Da co-fondatore del programma SETI con Frank Drake fino all’ideazione del celebre messaggio di Arecibo e della placca della Pioneer, Sagan ha messo letteralmente la Terra sulla mappa interstellare, mandando saluti cosmici nell’infinito spazio profondo.

Nel 1973, Sagan era immortalato accanto alla Boston Town Hall, proprio accanto alla placca della Pioneer che, insieme alla sonda gemella, si sarebbe spinta là dove nessuna fotocamera era mai giunta. Ma il suo capolavoro cosmico? Il Golden Record, un vinile spaziale pieno di musica, suoni e immagini, lanciato con le sonde Voyager nel 1977 e destinato a viaggiare oltre i confini del nostro sistema solare. E chi di noi non conosce la “Pale Blue Dot”, la famosa foto della Terra scattata da Voyager 1 a sei miliardi di chilometri, dove la Terra appare come un microscopico granello sospeso in un raggio di luce? Uno scatto su suggerimento dello stesso Sagan che, insieme alla sua frase “Guardate quel puntino… È qui. È casa. È noi”, è diventato un promemoria permanente della nostra fragilità e unità.

Sagan non era solo un astrofisico: era anche un poeta delle stelle, un ambasciatore del pensiero scientifico che ci ha insegnato a rimanere curiosi e a guardare sempre oltre, senza paura di scoprire l’ignoto.

E i suoi libri? “I draghi dell’Eden”, “Contact” o la leggendaria serie “Cosmos”? Non sono semplici opere di divulgazione, ma viaggi di pura meraviglia. E la sua battaglia contro le superstizioni? Ancora oggi, ci ricorda di abbracciare il pensiero critico e di tenere i piedi ben piantati a terra, anche quando guardiamo verso il cielo.

Sarebbe davvero impossibile misurare il vuoto che Carl Sagan ha lasciato. Ci ha ricordato che “siamo fatti di stelle” e quel debito di gratitudine non si estinguerà mai.

Canon o Nikon?

Canon o Nikon?

Canon o Nikon? La domanda che fa sempre sorridere…

Negli anni ho avuto la fortuna di sentirmi fare tante domande sulla fotografia, ma ce n’è una che ogni volta mi strappa un sorriso: “Ma è meglio Canon o Nikon?” Me la chiedevano spesso in passato, poi, pian piano, la domanda è sparita… fino a poco tempo fa. Qualche giorno fa, infatti, qualcuno ha avuto il coraggio di tirarla fuori di nuovo! Ed è stato proprio questo che mi ha fatto pensare: perché questa domanda?

Uso Canon da parecchi anni, ma ho iniziato con Nikon, quindi per me la scelta tra una e l’altra è sempre stata più pratica che ideologica. Per un professionista o per un amatore evoluto, la scelta tra Canon e Nikon è una questione quasi “tecnica”: una volta che hai costruito il tuo set di ottiche, cambiare marca diventa complicato. Però, a mio avviso, Canon, Nikon, Sony, Fuji… si equivalgono. Se Canon lancia una novità, Nikon risponde, e viceversa. Ormai il divario è minimo, e le differenze spesso riguardano più i dettagli che la sostanza.

La vera differenza? È dietro l’obiettivo, non dentro la macchina. Un buon fotografo è tale per l’occhio, l’esperienza e la capacità di creare immagini che raccontano qualcosa. La fotocamera, in fondo, è solo uno strumento. Certo, avere una macchina più avanzata ti dà più possibilità, ma la creatività e l’abilità non si possono comprare.

Ci sono fotografi famosi che usano ancora vecchie fotocamere, pellicola, o addirittura Polaroid. Questo dimostra quanto sia irrilevante il marchio: ciò che conta è come sai trasformare la realtà che ti circonda in qualcosa di unico.

Quindi, alla domanda “Meglio Canon o Nikon?” la mia risposta è sempre la stessa: “Meglio chi sta dietro la macchina!”

I nostri anni 90

I nostri anni 90

In molti si chiedono come mai la serie sugli 883 abbia avuto un successo così esplosivo, ma per chi quegli anni li ha vissuti non c’è davvero niente di cui stupirsi. Non è solo una serie fatta bene; è un richiamo potente a quella fase della vita in cui ogni possibilità era aperta, ogni giorno un’opportunità ancora da scrivere.

Le canzoni degli 883, per chi c’era, erano come piccoli inni quotidiani. Non si limitavano a parlare di noi: erano noi, i nostri amici, le nostre cotte, le nostre avventure in motorino. Parlavano di quel pezzo di vita vissuto tra risate e storie che sembravano destinate a durare per sempre, e per un po’ ci hanno davvero fatto credere che sarebbe stato così.

C’è qualcosa di magico nell’amicizia tra Max e Mauro, quell’alchimia rara che ci riporta con un balzo tra i banchi del liceo. Un incontro fortuito, una stretta di mano e, da lì, via a un percorso condiviso, come quelli che facevamo noi in macchina, vagando senza meta per ore, alla ricerca di qualcosa che forse non sapevamo nemmeno di volere davvero. Gli anni delle comitive infinite, delle risate senza fine, delle promesse fatte sotto il cielo notturno, quando si aveva la sensazione che, tutto sommato, sarebbe andato tutto per il meglio. Anche quando non andava affatto bene.

Ecco perché questa serie tocca così da vicino. Perché riesce a riportarci in quell’epoca in cui fiducia e amicizia erano terreno solido, basi su cui muovere i primi passi senza paura. Guardiamo quegli episodi e ci ritroviamo, di nuovo, con il cuore che batte come allora, quando tutto sembrava un film. Ci immergiamo in quei ricordi, ci lasciamo trasportare da quella sensazione di libertà, quella magia di una notte d’estate dove vento e voci lontane sembravano avere tutte le risposte.

Certo, a volte scendono anche le ombre. Quei momenti in cui pensiamo a chi ha fatto parte della nostra storia e poi è sparito, lasciando tracce sbiadite, ma indelebili. Ma anche questo fa parte del gioco, di quella “dura legge del gol” che abbiamo imparato a rispettare, e un po’ anche di quella “regola dell’amico.”

E un giorno, quando ci chiederanno perché ricordiamo con tanto affetto quegli anni, probabilmente risponderemo che ci hanno insegnato tanto. Ricorderemo ogni istante, ogni risata, ogni abbraccio, e non smetteremo di dire grazie. Grazie a quei due. Per averci accompagnato in quei momenti, per averci dato una colonna sonora in cui ritrovare un pezzetto di noi.

Mike!

Mike!

Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Mike Bongiorno, uno dei volti più iconici della televisione italiana. La RAI ha celebrato questo importante anniversario con una fiction dedicata alla sua vita, un omaggio a un personaggio che ha lasciato un’impronta indelebile nella nostra cultura.

Era l’inverno del 2006, un freddo weekend di sci sulle Dolomiti, precisamente ad Obereggen. Io e il mio amico Simone stavamo risalendo una pista con la solita seggiovia, il vento freddo sulla faccia e una neve che sembrava non voler smettere di cadere. A un certo punto, durante l’ennesima salita, noto qualcosa di strano: una persona seduta in seggiovia scendeva nel senso opposto. Ma non era solo. Accanto a lui, un fotografo con una reflex professionale. In quanto fotografo, non ho potuto fare a meno di osservare meglio la scena.

“Chi sarà?”, ho pensato, e man mano che ci avvicinavamo, la figura mi è diventata sempre più chiara: era lui, l’inconfondibile Mike Bongiorno! Non ci potevo credere! Mi giro verso Simone e dico: “Simone, guarda chi c’è! È Mike!”

Anche lui è rimasto esterrefatto e non siamo riusciti a trattenere l’entusiasmo. Mike passava accanto a noi nel silenzio del bosco sottostante, probabilmente immerso nei suoi pensieri, mentre il fotografo scattava foto a lui e alla natura circostante. Una volta lasciato alle nostre spalle, ho preso coraggio e gli ho urlato: “Ciao Mike!”

E lì, è successo. Con il suo caratteristico tono, esattamente come faceva in televisione al grido di “Allegria!”, ci ha risposto: “Eh, ciao!”. In quel momento, nel dubbio che stesse veramente salutandoci piuttosto che “mandandoci a quel paese”, io e Simone siamo scoppiati a ridere come matti. Avevamo incontrato Mike Bongiorno, il nostro mito del momento!

Proprio in quel periodo infatti, ascoltavamo ogni giorno Viva Radio 2, dove Fiorello lo imitava con la sua incredibile bravura. Mike era ovunque, e sentirlo di persona, in mezzo alla neve, come in una scena fuori da ogni contesto, è stato surreale. Il nostro ricordo di Mike è rimasto vivo da allora, tra una risata e l’altra, e quel suo “Eh, ciao!” risuona ancora come un piccolo regalo inaspettato.

Ecco, questo è il mio ricordo di Mike, un personaggio che ha accompagnato l’Italia per decenni e che, anche con un semplice saluto, è riuscito a farci sentire parte del suo mondo. Grazie, Mike!

Stop alle chiamate moleste

Stop alle chiamate moleste

Vi è mai capitato di ricevere una telefonata pubblicitaria su un numero che non avete mai dato a nessuno?

Magari proprio mentre stavate facendo qualcosa di importante, o forse, come è capitato a me, su un numero che nessuno conosce. Nel mio caso, la SIM è recente, ha 3 mesi circa di vita ed è utilizzata esclusivamente per il traffico dati installata in un router che sta in soffitta il cui numero – per ovvie ragioni – non ho motivo di divulgare a nessuno. Eppure, quelle chiamate moleste continuano ad arrivare. Come è possibile?

Le telefonate pubblicitarie indesiderate sono una piaga che molti di noi conoscono fin troppo bene. Aziende di telemarketing, spesso operanti al limite (o oltre) della legalità, usano tecniche sempre più aggressive per raggiungere il maggior numero di persone possibile. Ma come riescono a ottenere i nostri numeri di telefono? In molti casi, si tratta di numeri che sono stati riassegnati o condivisi illegalmente, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Queste chiamate non richieste non solo ci disturbano, ma mettono in discussione il rispetto per la nostra privacy.

Violazione delle regole e del buon senso

Non è solo una questione di fastidio, ma di principio. La normativa, in particolare il GDPR, dovrebbe proteggerci da queste pratiche scorrette. Eppure, troppo spesso aziende senza scrupoli riescono a trovare falle nel sistema. E noi ci ritroviamo a rispondere a chiamate che non abbiamo mai autorizzato, provenienti da numeri che non dovrebbero essere in possesso di questi operatori. Ma la domanda resta: cosa si sta facendo per fermare questa invasione?

Fortunatamente, negli ultimi anni sono state introdotte diverse misure sia a livello europeo che italiano per arginare il problema delle telefonate non richieste. Cercando in rete ho scoperto che
il GDPR (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati) dal 2018 impone regole severe sull’uso dei dati personali, richiede il consenso esplicito per ogni forma di contatto di marketing. Le aziende che violano queste regole rischiano multe pesanti, ma purtroppo non tutte rispettano queste disposizioni.

Il Registro Pubblico delle Opposizioni, in Italia, permette ai consumatori di dichiarare di non voler ricevere chiamate promozionali. Dal luglio 2022, questo sistema è stato esteso anche ai numeri di cellulare. Tuttavia, non tutti i call center rispettano l’obbligo di consultare questo registro, continuando a molestare con offerte non richieste.

In tema di Sanzioni e controlli l’Autorità Garante per la Privacy ha intensificato i controlli sulle attività di telemarketing illegale, infliggendo sanzioni a chi viola le normative. Tuttavia, alcune di queste attività continuano, soprattutto quando i call center operano da paesi esteri, al di fuori della giurisdizione italiana e La Direttiva ePrivacy, attualmente in fase di aggiornamento a livello europeo, mira a rafforzare ulteriormente la protezione dei consumatori contro le chiamate pubblicitarie non richieste. Una volta attuata, si spera che la situazione migliori ulteriormente.

Anche se qualcosa si sta muovendo a livello legislativo e tecnologico, il problema non è ancora del tutto risolto. Cosa possiamo fare nel frattempo? Poco, pochissimo.

  • Iscriversi al Registro delle Opposizioni è un primo passo fondamentale.
  • Segnalare i numeri molesti alle autorità competenti può aiutare a tenere sotto controllo queste pratiche scorrette.
  • Utilizzare app e servizi di blocco delle chiamate spam per limitare le chiamate indesiderate.

E voi, come affrontate questa situazione? Ricevete spesso chiamate non richieste? Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate o se avete trovato un modo per difendervi da questa invasione costante! Perché, lo ammetto, queste telefonate non richieste stanno cominciando davvero a stancarmi.

Le chiamano Bombe d’Acqua

Le chiamano Bombe d’Acqua

In questi ultimi giorni, dove vivo, ovvero Bergamo, la sua provincia ed in generale tutto il nord Italia, sono state nuovamente messe in ginocchio da piogge torrenziali, fiumi tracimati, strade allagate e tralicci disarcionati. Situazioni che ormai, tristemente, non ci sorprendono più. Eppure, quello che mi infastidisce quasi quanto l’acqua che invade i terreni è l’uso costante, quasi ossessivo, di un termine che, a mio avviso, sminuisce la gravità della situazione: “bomba d’acqua”.

Ogni volta che si verificano forti piogge, i giornali e i telegiornali ci bombardano con questa espressione, usata per dipingere un quadro apocalittico, quasi come se la natura fosse impazzita e lanciasse esplosivi d’acqua dal cielo. Ma la verità è un’altra. Questi eventi non sono “bombe” isolate e imprevedibili. Sono la conseguenza di decenni di incuria, di inazione e, soprattutto, di cambiamento climatico. Parlare di “bombe d’acqua” serve solo a creare titoli sensazionalistici e a nascondere sotto il tappeto la vera emergenza.

Le piogge torrenziali, le esondazioni dei fiumi e i danni che subiamo non sono più un caso eccezionale. Sono la nuova normalità, e lo saranno sempre di più se non ci decidiamo a fare qualcosa di concreto. Eppure, invece di affrontare il problema alla radice, ci perdiamo dietro termini che evocano più paura che consapevolezza. Invece di interrogarci su come prevenire queste catastrofi, continuiamo a subire passivamente, riducendo il tutto a un altro capitolo nel grande spettacolo del maltempo.

Ci siamo mai chiesti perché i media continuano a usare termini come “bomba d’acqua”? Forse perché è più facile vendere il disastro come un evento catastrofico e improvviso, piuttosto che riconoscere che è il risultato del fallimento delle politiche ambientali. Forse perché è più semplice parlare di eventi straordinari che chiedersi come mai questi eventi stanno diventando sempre più frequenti. Ma mentre ci fermiamo a guardare la pioggia attraverso la finestra e a commentare l’ennesima “bomba d’acqua”, ci stiamo dimenticando di chiedere responsabilità a chi dovrebbe agire.

Il cambiamento climatico non è più una minaccia futura. È già qui, e sta devastando i nostri territori. I fiumi che esondano e i terreni che franano sono la prova evidente che non possiamo più permetterci di ignorare la realtà. Eppure, continuiamo a usare parole che banalizzano il problema, parole che ci fanno sembrare vittime di una natura impazzita, quando invece siamo complici del disastro in corso.

E non è solo il cambiamento climatico a giocare un ruolo centrale in questa devastazione. L’edilizia aggressiva, che ha rubato spazio ai corsi fluviali, è un altro fattore determinante. Ogni metro quadrato sottratto ai fiumi, ogni argine cementificato, ogni nuovo insediamento costruito in zone vulnerabili contribuisce a peggiorare gli effetti delle piogge torrenziali. Abbiamo sacrificato preziosi spazi naturali, essenziali per assorbire l’acqua e prevenire disastri, in nome del progresso e dello sviluppo urbano. E ora ne paghiamo il prezzo.

Quando si costruisce senza criterio, ignorando i vincoli idrogeologici, si mette a rischio l’intera comunità. Le aree dove un tempo l’acqua poteva disperdersi in modo naturale sono state occupate da palazzi, parcheggi e strade, senza alcun rispetto per l’ambiente circostante. Il risultato? Ogni volta che piove, l’acqua non ha più dove andare, e l’esito è sotto gli occhi di tutti: fiumi in piena, allagamenti e distruzione.

È ora di smetterla di parlare di “bombe d’acqua”. Quello che stiamo vedendo sono le conseguenze di decenni di mancata cura del nostro pianeta e di un’edilizia miope. Il cambiamento climatico non è una bomba: è un processo lento e costante, innescato dall’uomo e, purtroppo, ampiamente ignorato dai decisori politici.

La domanda non dovrebbe più essere “quando avverrà la prossima bomba d’acqua?”, ma piuttosto “cosa stiamo facendo per impedirla?”. E se la risposta è nulla, allora il problema non è l’acqua che cade dal cielo, ma la nostra incapacità di affrontare la realtà.