Alla fine degli anni ’80, immaginare il 2040 era un esercizio di pura creatività.
Analisti, futurologi e aziende tecnologiche dipingevano uno scenario degno dei migliori romanzi di fantascienza, tra auto volanti, intelligenze artificiali emozionanti e un’umanità connessa al cloud, letteralmente. Ma, a quasi due decenni da quell’ipotetico futuro, cosa possiamo dire guardandolo da fine 2024? Quante di quelle previsioni ci sembrano raggiungibili o almeno credibili?
Mi sono preso un momento per confrontare i sogni di ieri con la realtà di oggi ed ecco ciò che posso riscontrare.
Le auto volanti
Cosa ci avevano detto:
Entro il 2040, viaggiare sarebbe stato un’esperienza a tre dimensioni. Non più strade congestionate o semafori, ma un cielo ordinato e fluido, regolato da un’intelligenza artificiale globale. La tua auto avrebbe sollevato il caffè al volo dal bar sotto casa e tu, seduto comodamente a leggere un libro, avresti ammirato il panorama dall’alto.
La realtà del 2024:
Forse ci siamo persi qualcosa per strada (letteralmente). Le auto volanti restano ancora prototipi per miliardari o protagonisti di film di fantascienza. Nel frattempo, il nostro concetto di futuro sono le auto elettriche, che sì, rispettano l’ambiente ma spesso finiscono a litigare con le colonnine di ricarica non funzionanti. La guida autonoma? In parte c’è, ma ti capita ancora di dover prendere il controllo perché l’algoritmo decide che un cono stradale è un UFO ostile.
Il cervello in cloud
Cosa ci avevano detto:
Il 2040 avrebbe segnato la fine dei limiti umani. Pensieri, emozioni e ricordi sarebbero stati trasferibili su server remoti. Una sorta di immortalità digitale: quando il corpo si ferma, il cervello continua la sua corsa su fibra ottica.
La realtà del 2024:
Più che caricare noi stessi, carichiamo continuamente foto, video e documenti… e solo per scoprire che lo spazio di archiviazione è sempre al limite. I servizi cloud si evolvono, ma per “caricare un ricordo” ci accontentiamo dei social media che ci ripropongono foto del passato, con un “Non è forse il momento di ricordare questo giorno?”. Immortalità digitale? Forse sì, ma a rate mensili e con pubblicità incluse.
Energia pulita e infinita
Cosa ci avevano detto:
Il futuro sarebbe stato alimentato da energie rinnovabili illimitate: fusione nucleare, pannelli solari orbitanti e batterie capaci di far funzionare un’intera città per giorni. L’umanità avrebbe finalmente chiuso il capitolo delle fonti fossili.
La realtà del 2024:
I progressi non mancano: il solare è più economico che mai e si parla di sperimentazioni nella fusione nucleare. Ma il nostro rapporto con l’energia resta complicato. Basta accendere il riscaldamento e un paio di elettrodomestici per far saltare il contatore. Per non parlare delle batterie: durano abbastanza per alimentare un’auto elettrica… purché non dimentichi di spegnere il riscaldamento del sedile.
Robot in ogni casa
Cosa ci avevano detto:
Dimenticate le faccende domestiche. Nel 2040 i robot avrebbero gestito ogni compito quotidiano: cucinare, pulire, stirare, magari perfino discutere con il call center per voi. Con una dose di personalità, ovviamente, perché anche un robot dovrebbe sapere che “non si risponde male al padrone di casa”.
La realtà del 2024:
Abbiamo i robot, sì, ma sono… basici. Il robot aspirapolvere rimane intrappolato nei tappeti, mentre i nostri assistenti vocali confondono richieste semplici come “Metti la playlist relax” con “Scatenati con un mix casuale di suoni da discoteca”. I robot esistono, ma l’idea che possano cucinare una cena gourmet resta lontana quanto un viaggio su Marte.
L’intelligenza artificiale emotiva
Cosa ci avevano detto:
Le IA del 2040 sarebbero state i nostri confidenti, amici e, perché no, terapeuti. Un’IA capace di cogliere ogni sfumatura delle emozioni umane, pronta a offrirci il consiglio perfetto o una parola di conforto.
La realtà del 2024:
L’intelligenza artificiale fa passi da gigante, ma più che “empatia”, per ora ha dimostrato una grande capacità di “calcolo”. Algoritmi sofisticati ci conoscono meglio di quanto crediamo, ma il loro obiettivo principale è… venderci qualcosa. “Ti senti giù? Forse ti serve un nuovo paio di scarpe.” Empatia 2.0 o marketing ben studiato?
Il bilancio: cosa resta di questi sogni?
Le previsioni per il 2040 ci ricordano quanto siamo bravi a sognare, ma anche a complicarci la vita. Se da un lato ci avviciniamo a traguardi che un tempo sembravano impossibili, dall’altro ci accorgiamo che il progresso non è mai lineare. Forse è questo il bello del futuro: non sapere davvero cosa ci aspetta, anche se ogni tanto qualche promessa disattesa ci fa sorridere (o sospirare).
In fondo, forse è meglio così. Immaginate un 2040 perfetto e iperconnesso: cosa ci sarebbe rimasto di cui lamentarci?
Lo so, nel mio blog tratto un po’ di tutto, dalla quotidianità spicciola alle riflessioni più profonde, passando per aneddoti divertenti e lampi di genio (o presunti tali). Ma ogni tanto la mia passione per il lavoro che faccio, quello di comunicare attraverso immagini e video, prende il sopravvento. Spero che questi post non vi annoino troppo! Prometto, come sempre, un tocco di ironia per addolcire la pillola.
Oggi parliamo di Final Cut Pro 11, il nuovo aggiornamento del software di editing video di Apple.
Perché? Beh, quando un colosso come Cupertino decide di calare l’asso, chi ama lavorare con immagini e suoni non può far altro che prendere appunti (e magari sborsare qualche euro, ma di quello ne parliamo dopo).
Novità succulente: il futuro dell’editing è già qui
Tra le chicche introdotte da Final Cut Pro 11, spicca la Magnetic Mask, che isola persone e oggetti nei video senza bisogno di green screen. Immaginate di poter dire addio a ore di rotoscoping: un sogno che si avvera! Ora posso far sparire colleghi indesiderati dai video aziendali… sempre che il loro ego consenta un effetto speciale così invasivo.
Un’altra novità da urlo è Transcribe to Captions, che genera automaticamente sottotitoli direttamente nella timeline. Finalmente non dovrò più scrivere manualmente ogni parola detta durante le interviste. (E credetemi, non tutti parlano con la chiarezza di un Morgan Freeman in voice-over!)
E poi c’è il supporto per i video spaziali, in vista del lancio di Apple Vision Pro. L’idea di poter modificare video 3D e giocare con la profondità mi entusiasma. Ma, diciamocelo: riuscirò mai a convincere i miei clienti che un video “spaziale” è ciò che manca alle loro strategie di marketing? Ai posteri l’ardua sentenza.
E il lato mobile?
Per chi vive di multitasking (e di caffeina), le novità per iPad sono manna dal cielo. Tra le più interessanti c’è Enhance Light and Color, che trasforma anche il video più sbiadito in un capolavoro cromatico con un solo tocco. È praticamente il filtro Instagram che mancava alla mia timeline professionale.
Anche la Apple Pencil ha ricevuto qualche coccola: ora offre feedback aptico durante il montaggio. Finalmente una soddisfazione fisica tangibile mentre sposto clip a destra e sinistra cercando di raggiungere la perfezione.
Un pizzico di musica con Logic Pro
Non ci fermiamo al video: anche Logic Pro ha ricevuto aggiornamenti succosi, tra cui il plug-in Quantec Room Simulator. A chi non sogna di aggiungere un riverbero leggendario ai propri mix? (Spoiler: io lo sogno. Spesso.)
Un software che costa, ma promette di brillare
Parliamoci chiaro: la qualità ha un prezzo. E Apple lo sa bene. Final Cut Pro 11 per Mac vi costerà la bellezza di 349,99€(gratis se avete già una versione precedente). Per iPad, invece, vi toccherà pagare un abbonamento mensile. La buona notizia? La versione per iPhone è gratis. La cattiva notizia? Vi serve un dispositivo all’ultimo grido per farla funzionare.
Considerazioni finali (ognuno la pensi come vuole…)
Final Cut Pro 11 e gli altri aggiornamenti Apple sono un balzo avanti per chi lavora nell’industria creativa. Ma ammettiamolo: per sfruttarli al meglio ci vogliono tempo, pazienza e… un budget che non faccia piangere.
Quindi, cari lettori, se vi siete sentiti sopraffatti dal tecnicismo, niente paura! Tornerò presto con aneddoti più leggeri. Ma se, come me, amate queste chicche da nerd creativo, non c’è dubbio: il futuro dell’editing video è sempre più wow. E un po’ più caro.
The Gift: The Journey of Johnny Cash – Un viaggio nella vita di un’icona
La passione per Johnny Cash mi accompagna da tempo, fin da quando il mio amico Antonio mi ha fatto scoprire questa voce profonda e intensa, e successivamente dai miei viaggi negli Stati Uniti, dove la musica country trova le sue radici più autentiche. Con Antonio, condividiamo l’amore per questo genere musicale, e soprattutto per la figura di Cash, un artista che è riuscito a fondere spiritualità, dolore e amore in un suono inconfondibile.
Di recente, proprio Antonio mi ha consigliato di guardare un documentario su YouTube Originals: The Gift: The Journey of Johnny Cash, un’opera realizzata quest’anno e diretta da grandi nomi del cinema. Kathleen Kennedy e Frank Marshall, produttori di straordinario talento che hanno segnato la storia di Hollywood collaborando con registi come Steven Spielberg e Robert Zemeckis, hanno dato vita a un ritratto sofisticato, elegante ed estremamente emozionante di Cash.
Il documentario esplora le sue lotte personali e artistiche, intrecciando la sua storia con momenti iconici della cultura americana. Per chiunque ami la musica country o sia affascinato da Cash, è un’occasione imperdibile per comprendere più a fondo l’uomo dietro la leggenda.
Mettetevi comodi: trovate il video in questo post e spero che possa piacervi tanto quanto è piaciuto a me.
Oggi ricorre il novantesimo compleanno di Carl Sagan, uno di quei giganti della scienza che ci ha fatto alzare lo sguardo verso le stelle, ricordandoci che siamo “polvere di stelle” in un universo immenso. Sarebbe ancora qui, se un male raro non l’avesse portato via troppo presto, nel 1996, lasciandoci orfani di uno dei più appassionati esploratori del cosmo.
In un secolo ricco di scoperte, Sagan è stato una delle menti che ha cercato di far dialogare la nostra strana specie – sì, noi bipedi curiosi, alias Homo sapiens – con ipotetiche intelligenze extraterrestri. Da co-fondatore del programma SETI con Frank Drake fino all’ideazione del celebre messaggio di Arecibo e della placca della Pioneer, Sagan ha messo letteralmente la Terra sulla mappa interstellare, mandando saluti cosmici nell’infinito spazio profondo.
Nel 1973, Sagan era immortalato accanto alla Boston Town Hall, proprio accanto alla placca della Pioneer che, insieme alla sonda gemella, si sarebbe spinta là dove nessuna fotocamera era mai giunta. Ma il suo capolavoro cosmico? Il Golden Record, un vinile spaziale pieno di musica, suoni e immagini, lanciato con le sonde Voyager nel 1977 e destinato a viaggiare oltre i confini del nostro sistema solare. E chi di noi non conosce la “Pale Blue Dot”, la famosa foto della Terra scattata da Voyager 1 a sei miliardi di chilometri, dove la Terra appare come un microscopico granello sospeso in un raggio di luce? Uno scatto su suggerimento dello stesso Sagan che, insieme alla sua frase “Guardate quel puntino… È qui. È casa. È noi”, è diventato un promemoria permanente della nostra fragilità e unità.
Sagan non era solo un astrofisico: era anche un poeta delle stelle, un ambasciatore del pensiero scientifico che ci ha insegnato a rimanere curiosi e a guardare sempre oltre, senza paura di scoprire l’ignoto.
E i suoi libri? “I draghi dell’Eden”, “Contact” o la leggendaria serie “Cosmos”? Non sono semplici opere di divulgazione, ma viaggi di pura meraviglia. E la sua battaglia contro le superstizioni? Ancora oggi, ci ricorda di abbracciare il pensiero critico e di tenere i piedi ben piantati a terra, anche quando guardiamo verso il cielo.
Sarebbe davvero impossibile misurare il vuoto che Carl Sagan ha lasciato. Ci ha ricordato che “siamo fatti di stelle” e quel debito di gratitudine non si estinguerà mai.
Canon o Nikon? La domanda che fa sempre sorridere…
Negli anni ho avuto la fortuna di sentirmi fare tante domande sulla fotografia, ma ce n’è una che ogni volta mi strappa un sorriso: “Ma è meglio Canon o Nikon?” Me la chiedevano spesso in passato, poi, pian piano, la domanda è sparita… fino a poco tempo fa. Qualche giorno fa, infatti, qualcuno ha avuto il coraggio di tirarla fuori di nuovo! Ed è stato proprio questo che mi ha fatto pensare: perché questa domanda?
Uso Canon da parecchi anni, ma ho iniziato con Nikon, quindi per me la scelta tra una e l’altra è sempre stata più pratica che ideologica. Per un professionista o per un amatore evoluto, la scelta tra Canon e Nikon è una questione quasi “tecnica”: una volta che hai costruito il tuo set di ottiche, cambiare marca diventa complicato. Però, a mio avviso, Canon, Nikon, Sony, Fuji… si equivalgono. Se Canon lancia una novità, Nikon risponde, e viceversa. Ormai il divario è minimo, e le differenze spesso riguardano più i dettagli che la sostanza.
La vera differenza? È dietro l’obiettivo, non dentro la macchina. Un buon fotografo è tale per l’occhio, l’esperienza e la capacità di creare immagini che raccontano qualcosa. La fotocamera, in fondo, è solo uno strumento. Certo, avere una macchina più avanzata ti dà più possibilità, ma la creatività e l’abilità non si possono comprare.
Ci sono fotografi famosi che usano ancora vecchie fotocamere, pellicola, o addirittura Polaroid. Questo dimostra quanto sia irrilevante il marchio: ciò che conta è come sai trasformare la realtà che ti circonda in qualcosa di unico.
Quindi, alla domanda “Meglio Canon o Nikon?” la mia risposta è sempre la stessa: “Meglio chi sta dietro la macchina!”
In molti si chiedono come mai la serie sugli 883 abbia avuto un successo così esplosivo, ma per chi quegli anni li ha vissuti non c’è davvero niente di cui stupirsi. Non è solo una serie fatta bene; è un richiamo potente a quella fase della vita in cui ogni possibilità era aperta, ogni giorno un’opportunità ancora da scrivere.
Le canzoni degli 883, per chi c’era, erano come piccoli inni quotidiani. Non si limitavano a parlare di noi: erano noi, i nostri amici, le nostre cotte, le nostre avventure in motorino. Parlavano di quel pezzo di vita vissuto tra risate e storie che sembravano destinate a durare per sempre, e per un po’ ci hanno davvero fatto credere che sarebbe stato così.
C’è qualcosa di magico nell’amicizia tra Max e Mauro, quell’alchimia rara che ci riporta con un balzo tra i banchi del liceo. Un incontro fortuito, una stretta di mano e, da lì, via a un percorso condiviso, come quelli che facevamo noi in macchina, vagando senza meta per ore, alla ricerca di qualcosa che forse non sapevamo nemmeno di volere davvero. Gli anni delle comitive infinite, delle risate senza fine, delle promesse fatte sotto il cielo notturno, quando si aveva la sensazione che, tutto sommato, sarebbe andato tutto per il meglio. Anche quando non andava affatto bene.
Ecco perché questa serie tocca così da vicino. Perché riesce a riportarci in quell’epoca in cui fiducia e amicizia erano terreno solido, basi su cui muovere i primi passi senza paura. Guardiamo quegli episodi e ci ritroviamo, di nuovo, con il cuore che batte come allora, quando tutto sembrava un film. Ci immergiamo in quei ricordi, ci lasciamo trasportare da quella sensazione di libertà, quella magia di una notte d’estate dove vento e voci lontane sembravano avere tutte le risposte.
Certo, a volte scendono anche le ombre. Quei momenti in cui pensiamo a chi ha fatto parte della nostra storia e poi è sparito, lasciando tracce sbiadite, ma indelebili. Ma anche questo fa parte del gioco, di quella “dura legge del gol” che abbiamo imparato a rispettare, e un po’ anche di quella “regola dell’amico.”
E un giorno, quando ci chiederanno perché ricordiamo con tanto affetto quegli anni, probabilmente risponderemo che ci hanno insegnato tanto. Ricorderemo ogni istante, ogni risata, ogni abbraccio, e non smetteremo di dire grazie. Grazie a quei due. Per averci accompagnato in quei momenti, per averci dato una colonna sonora in cui ritrovare un pezzetto di noi.