Mike!

Mike!

Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Mike Bongiorno, uno dei volti più iconici della televisione italiana. La RAI ha celebrato questo importante anniversario con una fiction dedicata alla sua vita, un omaggio a un personaggio che ha lasciato un’impronta indelebile nella nostra cultura.

Era l’inverno del 2006, un freddo weekend di sci sulle Dolomiti, precisamente ad Obereggen. Io e il mio amico Simone stavamo risalendo una pista con la solita seggiovia, il vento freddo sulla faccia e una neve che sembrava non voler smettere di cadere. A un certo punto, durante l’ennesima salita, noto qualcosa di strano: una persona seduta in seggiovia scendeva nel senso opposto. Ma non era solo. Accanto a lui, un fotografo con una reflex professionale. In quanto fotografo, non ho potuto fare a meno di osservare meglio la scena.

“Chi sarà?”, ho pensato, e man mano che ci avvicinavamo, la figura mi è diventata sempre più chiara: era lui, l’inconfondibile Mike Bongiorno! Non ci potevo credere! Mi giro verso Simone e dico: “Simone, guarda chi c’è! È Mike!”

Anche lui è rimasto esterrefatto e non siamo riusciti a trattenere l’entusiasmo. Mike passava accanto a noi nel silenzio del bosco sottostante, probabilmente immerso nei suoi pensieri, mentre il fotografo scattava foto a lui e alla natura circostante. Una volta lasciato alle nostre spalle, ho preso coraggio e gli ho urlato: “Ciao Mike!”

E lì, è successo. Con il suo caratteristico tono, esattamente come faceva in televisione al grido di “Allegria!”, ci ha risposto: “Eh, ciao!”. In quel momento, nel dubbio che stesse veramente salutandoci piuttosto che “mandandoci a quel paese”, io e Simone siamo scoppiati a ridere come matti. Avevamo incontrato Mike Bongiorno, il nostro mito del momento!

Proprio in quel periodo infatti, ascoltavamo ogni giorno Viva Radio 2, dove Fiorello lo imitava con la sua incredibile bravura. Mike era ovunque, e sentirlo di persona, in mezzo alla neve, come in una scena fuori da ogni contesto, è stato surreale. Il nostro ricordo di Mike è rimasto vivo da allora, tra una risata e l’altra, e quel suo “Eh, ciao!” risuona ancora come un piccolo regalo inaspettato.

Ecco, questo è il mio ricordo di Mike, un personaggio che ha accompagnato l’Italia per decenni e che, anche con un semplice saluto, è riuscito a farci sentire parte del suo mondo. Grazie, Mike!

Stop alle chiamate moleste

Stop alle chiamate moleste

Vi è mai capitato di ricevere una telefonata pubblicitaria su un numero che non avete mai dato a nessuno?

Magari proprio mentre stavate facendo qualcosa di importante, o forse, come è capitato a me, su un numero che nessuno conosce. Nel mio caso, la SIM è recente, ha 3 mesi circa di vita ed è utilizzata esclusivamente per il traffico dati installata in un router che sta in soffitta il cui numero – per ovvie ragioni – non ho motivo di divulgare a nessuno. Eppure, quelle chiamate moleste continuano ad arrivare. Come è possibile?

Le telefonate pubblicitarie indesiderate sono una piaga che molti di noi conoscono fin troppo bene. Aziende di telemarketing, spesso operanti al limite (o oltre) della legalità, usano tecniche sempre più aggressive per raggiungere il maggior numero di persone possibile. Ma come riescono a ottenere i nostri numeri di telefono? In molti casi, si tratta di numeri che sono stati riassegnati o condivisi illegalmente, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Queste chiamate non richieste non solo ci disturbano, ma mettono in discussione il rispetto per la nostra privacy.

Violazione delle regole e del buon senso

Non è solo una questione di fastidio, ma di principio. La normativa, in particolare il GDPR, dovrebbe proteggerci da queste pratiche scorrette. Eppure, troppo spesso aziende senza scrupoli riescono a trovare falle nel sistema. E noi ci ritroviamo a rispondere a chiamate che non abbiamo mai autorizzato, provenienti da numeri che non dovrebbero essere in possesso di questi operatori. Ma la domanda resta: cosa si sta facendo per fermare questa invasione?

Fortunatamente, negli ultimi anni sono state introdotte diverse misure sia a livello europeo che italiano per arginare il problema delle telefonate non richieste. Cercando in rete ho scoperto che
il GDPR (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati) dal 2018 impone regole severe sull’uso dei dati personali, richiede il consenso esplicito per ogni forma di contatto di marketing. Le aziende che violano queste regole rischiano multe pesanti, ma purtroppo non tutte rispettano queste disposizioni.

Il Registro Pubblico delle Opposizioni, in Italia, permette ai consumatori di dichiarare di non voler ricevere chiamate promozionali. Dal luglio 2022, questo sistema è stato esteso anche ai numeri di cellulare. Tuttavia, non tutti i call center rispettano l’obbligo di consultare questo registro, continuando a molestare con offerte non richieste.

In tema di Sanzioni e controlli l’Autorità Garante per la Privacy ha intensificato i controlli sulle attività di telemarketing illegale, infliggendo sanzioni a chi viola le normative. Tuttavia, alcune di queste attività continuano, soprattutto quando i call center operano da paesi esteri, al di fuori della giurisdizione italiana e La Direttiva ePrivacy, attualmente in fase di aggiornamento a livello europeo, mira a rafforzare ulteriormente la protezione dei consumatori contro le chiamate pubblicitarie non richieste. Una volta attuata, si spera che la situazione migliori ulteriormente.

Anche se qualcosa si sta muovendo a livello legislativo e tecnologico, il problema non è ancora del tutto risolto. Cosa possiamo fare nel frattempo? Poco, pochissimo.

  • Iscriversi al Registro delle Opposizioni è un primo passo fondamentale.
  • Segnalare i numeri molesti alle autorità competenti può aiutare a tenere sotto controllo queste pratiche scorrette.
  • Utilizzare app e servizi di blocco delle chiamate spam per limitare le chiamate indesiderate.

E voi, come affrontate questa situazione? Ricevete spesso chiamate non richieste? Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate o se avete trovato un modo per difendervi da questa invasione costante! Perché, lo ammetto, queste telefonate non richieste stanno cominciando davvero a stancarmi.

Le chiamano Bombe d’Acqua

Le chiamano Bombe d’Acqua

In questi ultimi giorni, dove vivo, ovvero Bergamo, la sua provincia ed in generale tutto il nord Italia, sono state nuovamente messe in ginocchio da piogge torrenziali, fiumi tracimati, strade allagate e tralicci disarcionati. Situazioni che ormai, tristemente, non ci sorprendono più. Eppure, quello che mi infastidisce quasi quanto l’acqua che invade i terreni è l’uso costante, quasi ossessivo, di un termine che, a mio avviso, sminuisce la gravità della situazione: “bomba d’acqua”.

Ogni volta che si verificano forti piogge, i giornali e i telegiornali ci bombardano con questa espressione, usata per dipingere un quadro apocalittico, quasi come se la natura fosse impazzita e lanciasse esplosivi d’acqua dal cielo. Ma la verità è un’altra. Questi eventi non sono “bombe” isolate e imprevedibili. Sono la conseguenza di decenni di incuria, di inazione e, soprattutto, di cambiamento climatico. Parlare di “bombe d’acqua” serve solo a creare titoli sensazionalistici e a nascondere sotto il tappeto la vera emergenza.

Le piogge torrenziali, le esondazioni dei fiumi e i danni che subiamo non sono più un caso eccezionale. Sono la nuova normalità, e lo saranno sempre di più se non ci decidiamo a fare qualcosa di concreto. Eppure, invece di affrontare il problema alla radice, ci perdiamo dietro termini che evocano più paura che consapevolezza. Invece di interrogarci su come prevenire queste catastrofi, continuiamo a subire passivamente, riducendo il tutto a un altro capitolo nel grande spettacolo del maltempo.

Ci siamo mai chiesti perché i media continuano a usare termini come “bomba d’acqua”? Forse perché è più facile vendere il disastro come un evento catastrofico e improvviso, piuttosto che riconoscere che è il risultato del fallimento delle politiche ambientali. Forse perché è più semplice parlare di eventi straordinari che chiedersi come mai questi eventi stanno diventando sempre più frequenti. Ma mentre ci fermiamo a guardare la pioggia attraverso la finestra e a commentare l’ennesima “bomba d’acqua”, ci stiamo dimenticando di chiedere responsabilità a chi dovrebbe agire.

Il cambiamento climatico non è più una minaccia futura. È già qui, e sta devastando i nostri territori. I fiumi che esondano e i terreni che franano sono la prova evidente che non possiamo più permetterci di ignorare la realtà. Eppure, continuiamo a usare parole che banalizzano il problema, parole che ci fanno sembrare vittime di una natura impazzita, quando invece siamo complici del disastro in corso.

E non è solo il cambiamento climatico a giocare un ruolo centrale in questa devastazione. L’edilizia aggressiva, che ha rubato spazio ai corsi fluviali, è un altro fattore determinante. Ogni metro quadrato sottratto ai fiumi, ogni argine cementificato, ogni nuovo insediamento costruito in zone vulnerabili contribuisce a peggiorare gli effetti delle piogge torrenziali. Abbiamo sacrificato preziosi spazi naturali, essenziali per assorbire l’acqua e prevenire disastri, in nome del progresso e dello sviluppo urbano. E ora ne paghiamo il prezzo.

Quando si costruisce senza criterio, ignorando i vincoli idrogeologici, si mette a rischio l’intera comunità. Le aree dove un tempo l’acqua poteva disperdersi in modo naturale sono state occupate da palazzi, parcheggi e strade, senza alcun rispetto per l’ambiente circostante. Il risultato? Ogni volta che piove, l’acqua non ha più dove andare, e l’esito è sotto gli occhi di tutti: fiumi in piena, allagamenti e distruzione.

È ora di smetterla di parlare di “bombe d’acqua”. Quello che stiamo vedendo sono le conseguenze di decenni di mancata cura del nostro pianeta e di un’edilizia miope. Il cambiamento climatico non è una bomba: è un processo lento e costante, innescato dall’uomo e, purtroppo, ampiamente ignorato dai decisori politici.

La domanda non dovrebbe più essere “quando avverrà la prossima bomba d’acqua?”, ma piuttosto “cosa stiamo facendo per impedirla?”. E se la risposta è nulla, allora il problema non è l’acqua che cade dal cielo, ma la nostra incapacità di affrontare la realtà.

Quel fenomeno chiamato “Shrinkflation”

Quel fenomeno chiamato “Shrinkflation”

Ti è mai capitato di comprare la tua solita confezione di biscotti e notare, improvvisamente, che sembrano finire più velocemente del solito? Non è una tua impressione.
Benvenuto nel magico mondo del Shrinkflation (o Product Shrink), una pratica sempre più comune dove le aziende riducono la quantità di prodotto nella confezione ma, attenzione, il prezzo rimane lo stesso.

Perché succede?

Le aziende non lo fanno per puro divertimento (anche se sembra). La causa principale è che i costi di produzione stanno salendo: materie prime, trasporti, energia… insomma, un disastro. Per evitare di farci pagare di più a vista d’occhio, la soluzione più furba è ridurre un po’ la quantità. Non ti aumentano il prezzo, ma la confezione diventa magicamente più leggera. C’è anche da dire che la competizione tra brand è spietata. Se un’azienda alza i prezzi, rischia che tu vada a comprare dal concorrente, che magari, senza farti accorgere, ha già ridotto la sua confezione da 500g a 450g. Un classico!

Le conseguenze per noi consumatori

Alla fine, anche se il prezzo non aumenta, stiamo comunque pagando di più per ogni singolo grammo o millilitro. E la cosa peggiore è che spesso non ce ne accorgiamo finché non è troppo tardi. Ci ritroviamo a comprare più spesso e, quando ci rendiamo conto che qualcosa non quadra, potremmo sentirci presi in giro.
Questa situazione è particolarmente frustrante per chi ha un budget limitato. Se devi fare i conti al centesimo, scoprire che hai pagato lo stesso per meno prodotto è una brutta sorpresa.

Cosa si può fare?

Beh, la prima cosa che le aziende dovrebbero fare è essere trasparenti. Se riduci la quantità, fallo sapere ai tuoi clienti. Non siamo stupidi, capiremo che i costi stanno salendo per tutti e, con una comunicazione onesta, forse non ci sentiremo troppo ingannati. Poi, perché non pensare a qualche innovazione? Invece di ridurre la quantità e basta, le aziende potrebbero offrire versioni migliorate dei loro prodotti o introdurre formati nuovi che giustifichino il prezzo. Insomma, creatività! E poi… potrebbe essere il momento di pensare a qualche regolamento che obblighi le aziende a essere più chiare su queste variazioni. Nessuno ama le sorprese quando si tratta del portafoglio.

La mia opinione

Lo dico onestamente, non mi piace. Il Shrinkflation è come quando qualcuno ti prende in giro senza dirti apertamente cosa sta facendo. Se c’è un problema con i costi, va bene, ma almeno informami. Trovo che la trasparenza dovrebbe essere alla base di ogni rapporto, anche tra consumatore e azienda. Alla fine, se scopro che mi stai riducendo il prodotto di nascosto, probabilmente non comprerò più da te. Detto ciò, capisco che la situazione economica è complicata per tutti, aziende incluse. Però, la fiducia dei clienti è preziosa e una pratica come questa, se gestita male, rischia di farla perdere per sempre. Quindi sì, il Shrinkflation è qui, e probabilmente ci farà compagnia ancora per un po’. Ma sarebbe bello vedere più onestà e magari anche qualche idea brillante che ci faccia sentire meno “alleggeriti” al momento dell’acquisto.

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Joker: Folie à Deux – Quando un sequel non è all’altezza delle aspettative

Joker: Folie à Deux – Quando un sequel non è all’altezza delle aspettative

Uscire dal cinema dopo Joker: Folie à Deux è un po’ come trovarsi in una di quelle serate interminabili che non vedi l’ora finisca, ma sembra non arrivare mai a conclusione.

Il film è privo di un vero obiettivo, trascinandosi senza scopo apparente in un continuo rimuginare su ciò che è stato narrato nel primo capitolo. Un paragone che mi è capitato di leggere su X, che lo mette in relazione al finale di Seinfeld, è calzante: chi ha visto entrambi capirà subito perché.

Al centro della trama c’è il legame tra Joker e Harley Quinn, ma la loro relazione è presentata in modo talmente freddo e sterile che risulta impossibile provare coinvolgimento. Manca l’intensità che ci si aspetterebbe, e tutto si riduce a una serie di scene che sembrano più un esercizio di stile che una narrazione emozionante. In parallelo, la noia è ulteriormente amplificata dagli intermezzi musicali, che, nonostante la performance vocale di Lady Gaga, finiscono per appesantire ulteriormente il ritmo del film, risultando quasi estranei alla storia.

Il primo Joker era riuscito a scuotere il pubblico, pur partendo da ispirazioni dichiarate (come Re per una notte di Scorsese), grazie al modo in cui affrontava questioni sociali rilevanti come i disturbi mentali e la violenza. Questo sequel, invece, sembra non avere nulla di nuovo da dire, ed è qui che risiede la sua più grande debolezza: si appoggia su una trama inconsistente e su una relazione centrale che non riesce a giustificare il peso del film.

Forse il vero problema sta nel fatto che un sequel, specialmente dopo un successo di tale portata, dovrebbe essere costruito con un’idea forte alla base. Joker: Folie à Deux sembra invece un prodotto forzato, incapace di aggiungere valore al suo predecessore. Invece di sviluppare ulteriormente le tematiche del primo film, questo capitolo sembra svuotarle di significato, lasciando anche i suoi protagonisti intrappolati in una narrazione senza scopo.

Se c’è qualcuno a cui imputare il fallimento, è senza dubbio Todd Phillips, che con questo film sembra aver dimenticato ciò che aveva reso Joker un’opera potente e provocatoria.

 

Robbie Williams: Better Man. Il Trailer che ci fa grattare la testa (o il pelo)

Robbie Williams: Better Man. Il Trailer che ci fa grattare la testa (o il pelo)

Oggi è stato rilasciato “Better Man” il tanto atteso trailer del biopic su Robbie Williams, uno dei cantanti più iconici della nostra epoca. Ma c’è un piccolo dettaglio che ha colto tutti di sorpresa: Robbie, anziché comparire in carne e ossa, appare… come una scimmia. Sì, avete capito bene: una scimmia digitale perfettamente realizzata in computer grafica. E mentre guardavo quel primate scimmiesco, con la sua pelliccia fluente e gli occhioni espressivi, mi sono chiesto: ma davvero?

Certo, la CGI ormai può fare miracoli, e di biopic originali ne abbiamo visti parecchi, ma questa trovata ha tutta l’aria di essere qualcosa di più di un semplice effetto speciale. Perché una scimmia? Perché proprio lui? E soprattutto: perché nessuno si scandalizza?

Da fan di Robbie Williams, devo dire che la sua carriera è sempre stata un susseguirsi di colpi di scena. Dai suoi videoclip sopra le righe alle performance live dove niente era mai scontato, Robbie ha costruito il suo successo su una serie di trovate geniali (a volte anche un po’ assurde). Eppure, proprio per questo non mi stupirei se questo trailer fosse solo l’ennesima delle sue bizzarre idee per creare buzz attorno al film.

Immagino già la scena: tutti noi ad arrovellarci sul perché un biopic su una star del pop britannico ci proponga un Robbie-scimmia, quando in realtà il film (quello vero) vedrà un attore umano somigliante al Williams originale interpretarlo. Certo, il primate in CGI potrebbe benissimo essere solo una strizzatina d’occhio al mondo della promozione moderna, dove la viralità è tutto e dove, per far parlare di un progetto, l’importante è sorprendere. Del resto, Robbie sa come far parlare di sé.

Un’altra teoria? Beh, potrebbe essere un modo per ricordarci che Robbie Williams, in fondo, è una bestia da palco. E come tale, chi meglio di una scimmia poteva rappresentare la sua energia scatenata, il suo carisma animalesco e la sua innata capacità di lasciare tutti a bocca aperta?

Tuttavia, confesso che resto un po’ perplesso. Se è solo marketing, missione compiuta: di questo trailer se ne parla già ovunque. Ma se davvero il film fosse così, con Robbie rappresentato sotto forma di un animale antropomorfo? Ecco, questo mi fa sorgere qualche dubbio sul tono che avrà la pellicola. Sarà davvero un omaggio alla sua carriera o solo un esperimento cinematografico fuori dagli schemi?

Oltre a tutto questo, c’è un dettaglio che non posso ignorare. Uno dei suoi album più famosi, “Escapology”, contiene quello che considero uno dei suoi pezzi più affascinanti in stile country: “Me and My Monkey”. Ecco, qui comincio a vedere un possibile legame più profondo con la scelta di Robbie di essere rappresentato come una scimmia nel trailer.

In quella canzone, il protagonista vive una serie di avventure surreali insieme a una scimmia, un compagno di viaggio che lo accompagna in situazioni al limite della follia. Chissà, forse la scelta di apparire come una scimmia nel film è un richiamo a quel pezzo e al suo significato simbolico. In “Me and My Monkey”, la scimmia è una figura ambigua, quasi un alter ego che rappresenta una parte selvaggia, incontrollata, forse un riflesso della stessa irriverenza e imprevedibilità che Robbie ha sempre incarnato. Potrebbe essere che, con questa trovata, Robbie ci stia dicendo che la sua scimmia interiore è sempre stata parte integrante del suo personaggio pubblico?

Forse, il collegamento tra la canzone e il trailer è un modo per sottolineare il fatto che Robbie ha sempre avuto un rapporto complesso con la sua immagine e la sua identità, un continuo oscillare tra il bisogno di fuggire (come suggerisce il titolo “Escapology”) e il desiderio di sorprendere il mondo con la sua unicità. Se così fosse, allora la scimmia CGI non è solo un espediente visivo, ma un messaggio profondo su chi è davvero Robbie Williams.

Per ora, non ci resta che aspettare ulteriori dettagli e, magari, un secondo trailer che ci rassicuri sulla presenza di un Robbie più umano. O, chi lo sa, potremmo scoprire che il nostro cantante preferito ha scelto di raccontarsi in modo davvero… evolutivo. In fondo, da Robbie Williams possiamo aspettarci di tutto. Persino una scimmia.