13 Gen 2025
Se casco, targa e assicurazione vi sembrano il funerale dei monopattini, beh, mettetevi comodi: il corteo funebre è già in strada. Anzi, potrebbe essere rallentato da un paio di monopattini parcheggiati in mezzo alla pista ciclabile.
Devo dirlo, questa questione mi tocca da vicino. Sono un orgoglioso proprietario di lunga data di un monopattino. Pensate che sono stato un “precursore” sin dal 2004, quando ho acquistato uno dei primi monopattini elettrici in commercio, con batterie che duravano a malapena il tempo di un giro dell’isolato. Negli anni, ho realizzato vlog dedicati ai modelli più aggiornati fino al 2022 e, sebbene ne possieda ancora uno, ahimè, ormai lo utilizzo solo durante le vacanze al mare. Ora, con queste nuove regole all’orizzonte, sono davvero indeciso su cosa farò nel futuro immediato.
È un peccato, lo ammetto. I monopattini elettrici sono stati per anni il simbolo della libertà urbana, il mezzo di trasporto per eccellenza di chi voleva sentirsi sostenibile, smart e un po’ ribelle. Li vedevi sfrecciare ovunque: sui marciapiedi, in contromano, tra i tavolini dei bar. Una rivoluzione su due ruote, che spesso dimenticava le regole basilari del vivere civile.
Ora, però, la festa sembra finita. Casco obbligatorio, targa e assicurazione sono le nuove regole del gioco, e per molti suonano come un epitaffio. Ma siamo sicuri che sia davvero così?
La rivoluzione… disciplinata.
L’idea di salire sul monopattino senza pensieri è sempre stata il suo fascino più grande. Lo prendi, parti e via, senza troppi fronzoli. Ma è proprio questa semplicità che ha portato a problemi non indifferenti: incidenti, parcheggi selvaggi, comportamenti pericolosi. Insomma, la libertà ha un prezzo, e spesso lo paga qualcun altro.
Le nuove norme mirano a risolvere questi problemi, rendendo i monopattini più sicuri e integrandoli meglio nel traffico cittadino. Certo, per chi li usava solo per un giretto occasionale o per andare in ufficio, queste regole potrebbero sembrare un deterrente. Casco? Ma non è che mi spettino? Assicurazione? Ma allora tanto vale prendere una macchina!
Un nuovo capitolo
Eppure, proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno. Queste regole potrebbero portare a un’evoluzione del monopattino, trasformandolo da mezzo di trasporto improvvisato a una soluzione di mobilità più seria e rispettata. Magari, con il tempo, vedremo meno parcheggi selvaggi e meno incidenti. E forse, dico forse, smetteremo di odiarli.
Le aziende di sharing, dal canto loro, dovranno adattarsi. I costi aumenteranno, certo, e probabilmente alcuni utenti occasionali spariranno. Ma chi davvero crede nei monopattini come alternativa di mobilità potrebbe apprezzare la maggiore sicurezza e l’ordine che queste regole promettono di portare.
È davvero un funerale?
Forse non è un funerale, ma una rinascita. Un addio al monopattino selvaggio e un benvenuto al monopattino responsabile. Certo, ci mancherà un po’ quel caos colorato e improvvisato che aveva reso le nostre città così… particolari. Ma chi lo sa? Magari, tra qualche anno, guarderemo indietro e ci chiederemo come abbiamo fatto a vivere senza casco, targa e assicurazione.
11 Ott 2024
In questi ultimi giorni, dove vivo, ovvero Bergamo, la sua provincia ed in generale tutto il nord Italia, sono state nuovamente messe in ginocchio da piogge torrenziali, fiumi tracimati, strade allagate e tralicci disarcionati. Situazioni che ormai, tristemente, non ci sorprendono più. Eppure, quello che mi infastidisce quasi quanto l’acqua che invade i terreni è l’uso costante, quasi ossessivo, di un termine che, a mio avviso, sminuisce la gravità della situazione: “bomba d’acqua”.
Ogni volta che si verificano forti piogge, i giornali e i telegiornali ci bombardano con questa espressione, usata per dipingere un quadro apocalittico, quasi come se la natura fosse impazzita e lanciasse esplosivi d’acqua dal cielo. Ma la verità è un’altra. Questi eventi non sono “bombe” isolate e imprevedibili. Sono la conseguenza di decenni di incuria, di inazione e, soprattutto, di cambiamento climatico. Parlare di “bombe d’acqua” serve solo a creare titoli sensazionalistici e a nascondere sotto il tappeto la vera emergenza.
Le piogge torrenziali, le esondazioni dei fiumi e i danni che subiamo non sono più un caso eccezionale. Sono la nuova normalità, e lo saranno sempre di più se non ci decidiamo a fare qualcosa di concreto. Eppure, invece di affrontare il problema alla radice, ci perdiamo dietro termini che evocano più paura che consapevolezza. Invece di interrogarci su come prevenire queste catastrofi, continuiamo a subire passivamente, riducendo il tutto a un altro capitolo nel grande spettacolo del maltempo.
Ci siamo mai chiesti perché i media continuano a usare termini come “bomba d’acqua”? Forse perché è più facile vendere il disastro come un evento catastrofico e improvviso, piuttosto che riconoscere che è il risultato del fallimento delle politiche ambientali. Forse perché è più semplice parlare di eventi straordinari che chiedersi come mai questi eventi stanno diventando sempre più frequenti. Ma mentre ci fermiamo a guardare la pioggia attraverso la finestra e a commentare l’ennesima “bomba d’acqua”, ci stiamo dimenticando di chiedere responsabilità a chi dovrebbe agire.
Il cambiamento climatico non è più una minaccia futura. È già qui, e sta devastando i nostri territori. I fiumi che esondano e i terreni che franano sono la prova evidente che non possiamo più permetterci di ignorare la realtà. Eppure, continuiamo a usare parole che banalizzano il problema, parole che ci fanno sembrare vittime di una natura impazzita, quando invece siamo complici del disastro in corso.
E non è solo il cambiamento climatico a giocare un ruolo centrale in questa devastazione. L’edilizia aggressiva, che ha rubato spazio ai corsi fluviali, è un altro fattore determinante. Ogni metro quadrato sottratto ai fiumi, ogni argine cementificato, ogni nuovo insediamento costruito in zone vulnerabili contribuisce a peggiorare gli effetti delle piogge torrenziali. Abbiamo sacrificato preziosi spazi naturali, essenziali per assorbire l’acqua e prevenire disastri, in nome del progresso e dello sviluppo urbano. E ora ne paghiamo il prezzo.
Quando si costruisce senza criterio, ignorando i vincoli idrogeologici, si mette a rischio l’intera comunità. Le aree dove un tempo l’acqua poteva disperdersi in modo naturale sono state occupate da palazzi, parcheggi e strade, senza alcun rispetto per l’ambiente circostante. Il risultato? Ogni volta che piove, l’acqua non ha più dove andare, e l’esito è sotto gli occhi di tutti: fiumi in piena, allagamenti e distruzione.
È ora di smetterla di parlare di “bombe d’acqua”. Quello che stiamo vedendo sono le conseguenze di decenni di mancata cura del nostro pianeta e di un’edilizia miope. Il cambiamento climatico non è una bomba: è un processo lento e costante, innescato dall’uomo e, purtroppo, ampiamente ignorato dai decisori politici.
La domanda non dovrebbe più essere “quando avverrà la prossima bomba d’acqua?”, ma piuttosto “cosa stiamo facendo per impedirla?”. E se la risposta è nulla, allora il problema non è l’acqua che cade dal cielo, ma la nostra incapacità di affrontare la realtà.