2 Gen 2025
125 in autostrada: liberi tutti, ma siamo sicuri che sia una buona idea?
Da sabato 14 dicembre 2024, le moto e gli scooter 125 cc possono finalmente accedere alle autostrade e alle tangenziali. Una notizia che ha fatto saltare di gioia chi ha un mezzo leggero e, fino a ieri, doveva destreggiarsi tra strade secondarie e percorsi alternativi spesso più lunghi e stressanti. Ma, come si dice, non è tutto oro quello che luccica.
Cosa cambia con la nuova normativa.
Prima di questa modifica, il Codice della Strada vietava tassativamente ai motocicli sotto i 150 cc di mettere piede – anzi ruota – sulle autostrade. Ora invece, con il requisito di avere almeno 120 cc (6 kW per gli elettrici) e una patente adatta, anche i 125 cc possono godere del vento in faccia sulla A4 o la tangenziale di Milano. Tutto questo però con alcune limitazioni: serve essere maggiorenni o, in alternativa, avere almeno due anni di esperienza con la patente A1 o A2.
Una scelta di comodità o di sicurezza?
Diciamocelo, questa riforma ha il profumo della comodità, ma forse non è stata pensata fino in fondo per la sicurezza. Perché? Immaginatevi una bella giornata d’estate: voi, il vostro scooter 125 cc, e un’autostrada popolata da camion che sfrecciano a pochi metri di distanza. Tra vortici d’aria e differenze di velocità, non serve un esperto per capire che il mix potrebbe rivelarsi esplosivo.
La corsia di destra, quella destinata agli scooter, è infatti spesso territorio dei mezzi pesanti. Due categorie che, a lungo andare, sembrano destinate a non andare molto d’accordo. E non parliamo solo di urti (che già sarebbero un bel problema), ma anche di vento laterale, distanze di sicurezza spesso ignorate e sorpassi azzardati.
Tangenziali: un po’ più di senso, ma solo un po’.
Diverso il discorso per le tangenziali. Qui la velocità è più contenuta e la presenza di mezzi pesanti meno invasiva. Inoltre, difficilmente si percorrono lunghe distanze, il che riduce i rischi. Insomma, il compromesso sembra più ragionevole.
Un buon senso che traballa.
I sostenitori di questa riforma, come l’ANCMA e la Federazione Motociclistica Italiana, la definiscono un “intervento di buonsenso”. E lo è, per certi aspetti: semplifica la vita agli scooteristi, permette all’Italia di allinearsi con il resto d’Europa e offre nuove possibilità a chi usa questi mezzi per spostamenti quotidiani.
Ma il buon senso, per sua natura, deve tenere conto di tutti i fattori, compresi quelli meno piacevoli. E qui le criticità ci sono, eccome. Più mezzi in autostrada, più possibilità di incidenti, più rischi per i conducenti di moto leggere.
Prudenza, sempre.
Insomma, se avete un 125 e non vedevate l’ora di lanciarvi in autostrada, fatelo con la testa sulle spalle. Attenti ai camion, rispettate i limiti di velocità e tenete sempre un occhio agli specchietti. E magari, se potete scegliere, iniziate dalle tangenziali.
Perché sì, la libertà di movimento è fantastica, ma la sicurezza viene sempre prima. E su questo, credo, possiamo essere tutti d’accordo.
24 Dic 2024
Non so voi, ma ultimamente mi capita spesso di riflettere sul rapporto tra smartphone e ragazzi. Sarà che ormai gli smartphone sono ovunque, sarà che ogni tanto vedo bimbi di pochi anni maneggiare uno schermo con più destrezza di me quando cerco di sistemare un cavo USB. Fatto sta che il tema mi tocca da vicino. Per questo oggi voglio condividere qualche pensiero personale su un argomento che merita tutta la nostra attenzione.
Ecco qui di getto alcune domande e altrettanti pensieri sparsi.
Avete mai sentito parlare di “Wait Until 8th”? È un movimento americano che suggerisce ai genitori di aspettare fino all’ottavo anno di scuola primaria prima di regalare uno smartphone ai figli. Un po’ drastico, penserete, ma non è un’idea del tutto campata in aria. L’obiettivo è quello di regalare ai bambini un’infanzia meno schiacciata dalle notifiche e più ricca di esperienze reali.
E in Europa? Beh, qui la faccenda si fa interessante. In alcune scuole, lo smartphone è diventato il nemico pubblico numero uno: bandito durante le lezioni. Mi piace pensare che sia un modo per riscoprire il piacere di una chiacchierata faccia a faccia o di una partita a carte nella pausa, invece di scrollare TikTok per ore.
Gli effetti sulla salute (e su di noi genitori)? Ok, parliamo di cose serie: la salute. Che gli smartphone siano uno strumento utile è fuori discussione, ma a che prezzo? I dati parlano chiaro: più tempo sullo schermo equivale a meno sonno, più ansia e, spesso, più solitudine. Ho letto studi che parlano di posture sbagliate, occhi affaticati e quella famigerata “FOMO” (la paura di perdersi qualcosa). Ma sapete una cosa? Non servono studi per accorgersene: basta osservare i nostri figli o, perché no, anche noi stessi.
E i social? Non iniziamo nemmeno. O meglio, iniziamo, ma con un bel respiro profondo. La pressione di apparire sempre al meglio, di collezionare like come figurine Panini, non è certo salutare. È un mondo che amplifica le insicurezze, e se fa effetto su di noi adulti, immaginate cosa può fare su un adolescente.
Genitori e insegnanti: siamo pronti?
Qui arriva la parte difficile. Come genitori, ci troviamo a navigare un terreno pieno di insidie. Regole, limiti, monitoraggio… sembra quasi di essere guardiani di un faro in mezzo alla tempesta. Ma forse è proprio qui che dobbiamo fare la differenza. Non dico che sia facile, anzi. Però possiamo iniziare con cose semplici: spegnere i dispositivi durante i pasti, scegliere app utili e, soprattutto, parlare. Parlarne con i nostri figli, spiegando il perché delle nostre scelte.
E gli insegnanti? Anche loro hanno un ruolo chiave. Ho sempre pensato che la scuola non sia solo un luogo di apprendimento, ma anche un laboratorio sociale. Sensibilizzare gli studenti, organizzare incontri con esperti, proporre attività che non richiedano uno schermo: tutte cose che possono fare la differenza.
Cosa ci riserva il futuro?
Qui entriamo nel campo delle ipotesi. Si parla di normative più stringenti, come vietare l’accesso ai social ai minori di una certa età o introdurre verifiche più rigorose. Dall’altra parte, la tecnologia potrebbe aiutarci con app e sistemi di controllo sempre più avanzati. Ma sapete cosa penso? La tecnologia non può essere l’unica risposta. Serve anche un cambiamento culturale, una nuova consapevolezza.
E se il futuro fosse più “analogico”? Magari, un giorno, torneremo ad apprezzare la bellezza di un album fotografico o il fascino di una lettera scritta a mano. Nel frattempo, dobbiamo trovare un equilibrio, un modo per far convivere tradizione e innovazione.
Insomma, il tema è complesso, e non pretendo di avere tutte le risposte. Quello che so è che vale la pena parlarne, confrontarsi, sperimentare. Se da un lato non possiamo fermare il progresso, dall’altro abbiamo il dovere di guidarlo, per il bene dei nostri figli e della società intera.